
Giovani poeti: Michele Paladino | LâAltrove
Michele Paladino entra a far parte dei nostri Govani poeti.
Classe 1993, Michele è laureato in Lettere Moderne sullâopera di Tommaso Landolfi, e sue poesie, saggi e racconti sono in diverse riviste online, tra cui Inverso, Suite Italiana, Salmuria, e Dissipa Tu.
Per lâoccasione lâabbiamo intervistato.
Grazie Michele. Quando hai iniziato a scrivere?
Relativamente tardi. La mia infanzia è filata liscia, unitaria e organica ai legami familiari. Lâadolescenza è stata misurata e prudente. I âmomenti creativiâ erano tarpati dalle nevrosi indistinte dellâetĂ adolescenziale. La scoperta della lettura è stata fondamentale, la ricordo con nostalgia: una continua meditazione sul piacere di immaginare; peccato sia diventata un dovere. Durò poco, la lettura trovò presto una forte alleata: la noia della provincia italiana, che ha maturato in me come un segnale di vocazione irrazionale. Come arrivare alla scrittura senza avere quel poco di gofaggine della presunzione? La vocazione lâho temperata leggendo tutto ciò che mi capitasse a tiro. Nessun nome, non avrebbe senso. Sono arrivato alla scrittura negli anni dellâuniversitĂ , fuggendo dalla falsa cordialitĂ , prendendo coscienza del dolore di stare al mondo.
Cosa rappresenta per te la scrittura e, piĂš nello specifico, la poesia?
Scrivere è uno stato morbosamente interiore, si scrive quando si è fatto il gelo intorno a sĂŠ, cosĂŹ da scrivere nel vuoto. Si scrive perchĂŠ lo stato delle cose è deprimente, dĂ il vomito, la realtà è vomitevole. Quale realtĂ ? La scrittura non vive nella realtĂ , rigetta la realtĂ , è nel passo demoniaco delle civiltĂ dei morti, nella sensualitĂ terrestre del sogno, come ne âLa petite promenade du pòeteâ di Campana: Me ne vado per le strade | strette, oscure e misteriose: | vedo dietro le persiane | affacciarsi Gemme e Rose. o nellâabusata citazione di Calderòn De la Barca: âLa vida es sueĂąoâ. La letteratura è sogno, e chi non sogna ha una esperienza del mondo estremamente limitata. Lâarte mi libera, mi turba, mi rende un vagabondo terso e vibratile, un naufrago saviniano, vivo come in catalessi tra le arti. Ma non mi lascio incantare, serve ordine, la poesia può aiutarci, sebbene relegata in un viaggio della follia; come affermava Giorgio Colli, âsapiente è chi getta luce nellâoscuritĂ , chi scioglie i nodi, chi manifesta lâignoto, chi precisa lâincertoâ. Per me la poesia è vivere nelle ambiguitĂ dei tabĂš, parlare con i morti, sezionare un cadavere su di un tavolo anatomico, affondare la lama e sentire il rumore molle della carne crepitare dolcemente. La poesia è unâincestuosa patologia.
Credo che il mondo sia bello, / che la poesia sia come il pane, di tutti. Scrisse Roque Dalton. Cosa ne pensi? Poesia per tutti o per alcuni?
Il mondo è unâumiliazione involontaria. Poco altro. Ă un tiranno che opera per conto proprio. La poesia sta subendo un processo di svalutazione dovuta allâalfabetizzazione di massa e alla massificazione pervasiva della tecnica, certo, ma ha ancora una forte valenza di consolazione: molti poeti riaffermano con i loro versi la propria dignitĂ umana e la propria vittoria sulla natura. La poesia non è una gara, non è gioco di societĂ . Ogni poeta, fosse anche il piĂš scellerato mitomane esaltato, merita ascolto e rispetto. Manca molto nella cultura italiana una personalitĂ colta e aperta al dialogo come Giorgio Barberi Squarotti, nobili gentiluomini delle lettere: uomini ormai morti.
Un poeta con cui berresti un caffè?
Una coppa di Primitivo, vino âbarbaroâ di Manduria, insieme a Ilaria Palomba e Marco Vetrugno.
Ecco le sue poesie:
Fa che noi si viva divampati
riarsi, demoliti
in una dimenticanza di grazia
davanti a una nicchia di Beate Vergini
incurvate nelle icone al grido celeste,
offrirsi al sacrificio, a un meandro
di ghiandole, bracieri di un cielo nero.
Involgi e acconcia nel sudario
lâinganno serafico del tuo corpo,
riconosci lâinganno della copula,
come possono soltanto i morti,
come a pensare di svellere lo sguardo
a un Dio affondato nel dolore.
Dicevi che i tuoi sogni erano carenati di spettri oracolari:
le frecce della metastasi, lâombra viva di una
cisterna prosciugata dal pianto, il remoto esilio del tuo inguine scuro
al cui fondo viveva una gerla dâuva.
La caduta è una sistola dellâApocalisse.
Se la notte comincia a masticarci,
sarĂ la luna a picco a sciogliere
la crocchia inesausta fluviale dei tuoi capelli.
Ancor prima della vita, ogni gesto,
era la legatura di un miracolo.

