Giovani Poeti

Giovani poeti: Pierluigi Vizza

Ospite di oggi per la categoria Giovani Poeti è Pierluigi Vizza, ventiduenne calabrese.
I suoi versi sono maturi, suggestivi, decisi. Autore di diverse sillogi, pubblica nel 2015 A Saffo. Versi d’amore con Youcanprint, Il cantastorie grafomane edito da Galassia Arte, Antiche rimembranze edito da Eretica Edizioni.
Poeta completo con una mentalità eclettica, spazia dalla produzione poetica alla narrativa.
Gli abbiamo posto alcune domande per comprendere meglio il suo punto di vista.
Più che presentarvelo, è lui stesso a presentarsi tra una risposta e l’altra.

Grazie per aver partecipato. Cosa ti ha condotto alla poesia?

Beh, parafrasando Pablo Neruda, banalmente, potrei affermare che fu la Poesia stessa a cercarmi. Ma, forse, mentirei; all’inizio, credo che tutto nacque dalla voglia di poter scarnire la realtà, dal desiderio di infrangere il mondo intero, – per dirla con le parole di Charles Simic: «Era il bisogno di sbeffeggiare l’autorità, […] di annunciare di aver visto gli angeli e con lo stesso fiato dire che non esiste alcun Dio». Allora, qui mi si potrebbe domandare, a cosa serve la Poesia? Essenzialmente, penso che non serva né a propagandare onirismi né tantomeno a celebrare il corpo o la natura. La Poesia è uno strumento atto ad addolorare. Una poesia che non crea dolore, che non genera scandalo, che non conduce alla ricerca dell’oscurità e – come scriveva Kafka – che non ci sveglia con un pugno sul cranio, non è Poesia.

Come vivi arte e poesia e qual è la tua personale idea al riguardo?

Per rispondere a questa domanda, credo che ogni artista debba prima chiedersi: – Che cos’è l’arte? Ogni arte è frutto della vanità dell’artista che ne è dietro. L’artista, infatti, è come dominato dalla volontà di dar fuoco alla sua esistenza perché infreddolita, o di raffreddarla poiché essa è troppo animosa. In effetti, ogni opera viene concepita per saziare una necessità propria, in quanto l’arte vera non viene costruita per piacere, ma raffigura qualcosa di intimo, un’insofferenza, che neanche l’artista riesce a spiegare a pieno. La stessa opera va al di là dell’autore, anche se esso è il solo che la concerne nella sua pienezza. Pertanto, per la massa tale utilità verrà meno, anche se in essa ci leggerà l’infinità dell’uomo o la mana di Dio, giacché non riuscirà a comprendere la necessità primaria che dette origine a quel Tutto, ma un qualcos’altro, una necessità supplementare che andrà a dar manforte alla vanità dello spettatore, convinto di esser allo stesso tempo arte e artista. Per concludere: non sono io che vivo di arte, ma è l’arte che vive di me per poi sputarmi fuori.

Hai già pubblicato diversi libri, quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Al momento, sto lavorando con la Meligrana Editore per gli ultimi aggiustamenti di Ognuno ha la sua notte, che sarà un volume, di oltre 250 pagine, dove saranno raccolte non solo poesie, ma anche due romanzi brevi e svariati racconti. Inoltre, in questo 2017, spero di terminare il mio primo romanzo distopico, con la speranza di poterlo lanciare su qualche piazza importante.

C’è un poeta che prendi come modello di riferimento? Se sì, chi?
Di primo acchito, ti direi Rimbaud o Pasolini. E questo mi farebbe sorridere: sai perché? Tale risposta emergerebbe dall’infatuazione delle mie ultime letture. Ovviamente, ognuno di noi ha un autore o, meglio, un libro che è stato in grado di toccarci per la prima volta il cuore. E non importa quanti altri milioni di scritti leggeremo, noi ritorneremo con la memoria sempre a quelle pagine. Qualcuno, ironicamente, potrebbe chiamarla: la maledizione della prima volta e, forse, non sbaglierebbe. Allora, arrivato a questo punto, ti risponderei che il mio modello di riferimento è, senza alcun dubbio, Goethe. Un autore che, a mio avviso, è riuscito a scavare nelle profondità dell’umano.

Da dove nasce l’ispirazione? E qual è, per te, la differenza tra prosa e poesia?

Guarda, non so se si possa parlare propriamente d’ispirazione. In ogni modo, penso che il tutto esca da un bisogno quasi fisiologico, o meglio, dalla necessità di castrare una parte di noi stessi. È come levare un grande masso dalle viscere e, d’un colpo, scagliarlo ripetutamente contro un muro. Solo da quelle schegge può scaturire la scintilla che farà divampare la Scrittura. Per quanto riguarda la seconda domanda, potrei risponderti, causticamente, con le parole di Bukowski: «La poesia dice troppo in pochissimo tempo, la prosa dice poco e ci mette un bel po’». Ma ci terrei ad aggiungere una cosa: dedicarsi, giorno per giorno, alla stesura di un romanzo è un lungo viaggio che può dare molto anche in quel poco; mentre, la poesia è un flash che può farti trasalire nella luce o farti discendere negli abissi.

Il serpente e il gabbiano

Fu il gabbiano
che insegnò al serpente
la tristezza del volo,
disse: «Più si va in alto
più si è soli!
Più vicino è il cielo
più ci si acceca!
– Benedetto sia il tuo strisciare
nell’ombra che strilla
dove i mostri t’abbracciano».

Scarlett Carson

Quanti petali mi hanno strappato,
quante Serpi lerce si son cibate
del mio senno, mi hanno tarpato
le ali e le hanno vomitate.
Or non li ritrovo i sentimenti,
librano: foglie secce nel vento
cadute nel girone dei Tormenti.
Lo sento dentro quel crudo lamento,
m’irrigidisce quello sguardo: – Donna –,
angelo che danzi nel plenilunio
con il Demonio – sei il Male, Donna!
Ed io sono il tuo abominio.
Ci soggioghi alla tua Bellezza
alla tua Voglia come bambole,
gioco irrisorio della stoltezza.
Come lacerano queste costole,
ossa di cui Dio mi ha privato;
ma mi avvezzo del tuo profumo,
mi nutro dal tuo seno pregiato
e in ogni abbraccio mi consumo.
[Da Antiche Rimembranze, edito da Eretica edizioni, 2015]

Lacrime

Il dramma è
che chi ha dentro oceani
fuori mostra poco
lacrime.
[Da Ognuno ha la sua notte, (raccolta di racconti e poesie) presto edito da Meligrana Editore

Potete trovare Pierluigi su Tumblr o acquistare i suoi libri al link http://amzn.to/2jHi2cs

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