Intervista a Guido Catalano, il criminale poetico seriale
Quando ci siamo imbattuti in Guido Catalano era un’estate di qualche anno fa. La poesia fino ad allora era roba antica e pesante. Poi abbiamo iniziato a leggere le sue di poesie, e abbiamo riso, riso di gusto. Abbiamo pensato, riflettuto, pianto, abbiamo detto che quella era una sorpresa che non ci si aspettava. Una poesia che prendeva in giro se stessa, che si svecchiava, che diventava parte di noi e della nostra quotidianità. Una poesia reale e viva.
Quarantacinque anni, torinese, sei raccolte poetiche pubblicate, un romanzo edito Rizzoli, (D’amore si muore ma io no) decine di date in giro per tutta Italia con il suo Grand Tour, Guido è una forza della natura, un’unione di cose differenti ma ben amalgamate. I suoi reading (molti dei quali sold-out) sono abbastanza singolari e stupisce come egli riesca a fondersi con i suoi spettatori. E poi si parla o si fa silenzio, si mescolano emozioni differenti come gioia, malinconia, stupore, divertimento e si finisce a bere birra e a scherzare con lui. Di poeti così ce ne sono pochi, davvero pochi. Odiato da chi difende la poesia con la “p” maiuscola, accusato di essere quasi un criminale, amato, invece, da un popolo “social” sempre in espansione. Un Guido che non guida, ma che sa viaggiare alla grande. Versi liberi, amori, donne e un po’ di esplosioni qua e là, la poesia oggi porta anche il suo nome.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui e ve ne facciamo partecipi.
Da scrittori di testi (e aspirante Rock-star) a poeta affermato e scrittore di romanzi. Qual è la tua concezione della poesia e quale della canzone?
La canzone, la musica mi accompagnano da quando mi sveglio a quando vado a dormire. Volevo scrivere canzoni in effetti e per un po’ l’ho fatto. Poi i testi delle canzoni, che cantavo male, nel mio gruppo di giovani scapestrati, si sono trasformati, piano piano, in qualcosa di altro. In testi autonomi con una loro musica e un loro ritmo: in poesia. Le canzoni, quelle italiane, rimangono una delle mie fonti di ispirazione principali. La poesia e la canzone son cugine e si vogliono bene. O almeno dovrebbero.
Le tue poesie fanno divertire, cosa rara e forse c’è chi pensa incomprensibile. Ma cos’è per te l’ironia?
È un dono naturale. Non si può imparare e non si può insegnare. Come il senso dell’umorismo, il coraggio, il cinismo e altre cose interessanti. Amo le persone ironiche ed autoironiche. Le cerco e, quando le trovo, cerco di tenermele strette.
Hai girato l’Italia con il tuo “Grand Tour”, immaginavi un successo così grande?
No, anche se credevo che sarebbe andato bene. Uno dei motivi degli ottimi risultati è che a questo giro, sono stato aiutato da un management, posto che si scriva così, che si chiama Viaaudio. Un gruppo di ragazzi e ragazze che hanno fatto davvero la differenza.
E com’è avvenuto il primo reading da poeta emergente? Eri certo che quella sarebbe stata la tua strada?
Tanti anni fa non esisteva Internet e decisi che l’unico modo per farmi conoscere dal pubblico era quello di andare a leggere le poesie davanti alle persone. Mi resi conto che mi piaceva. E piaceva anche alle persone. E non ho più smesso.
C’è una poesia, non tua, che ti rispecchia in questo periodo?
C’è una striscia dei Peanuts. Secondo me Schulz era un poeta.
Hai dei colleghi che segui e che apprezzi? Qual è il tuo poeta preferito?
Non ho un poeta preferito, come non ho un cantautore o un regista preferito.
Ci sono diversi colleghi vivi e vegeti e bravi che stimo, tipo Roberto Mercadini, Alessandra Racca, Arsenio Bravuomo, Paolo Agrati, Francesca Genti e altri.
Ce l’avresti una poesia, magari inedita, da far leggere ai nostri lettori?
Ineditissima no ma molto fresca e scritta da poco.
Matilde
Aveva il rarissimo dono
di riuscire a farmi ridere.
Dono che valeva in oro
quanto il suo peso
solo che lei pesava poco
davvero troppo poco.
Andavano aggiunti almeno
uno zaino pieno di pietre
una stufa di ghisa
due cavalli obesi
incudini a piacere.
Matilde aveva un cervello
più veloce del normale
e quando immaginava qualcosa
sentivo il suono dei suoi pensieri.
Ed era sempre lì, ad immaginare.
Anche di notte
i sogni
facevano rumore.
Al nostro primo appuntamento
a casa mia
Matilde mi portò un’aragosta surgelata.
Fu un pensiero gentile
dovetti aprirla a martellate.
Dovrei forse parlarvi
a questo punto
di quanto amavo le sue gambe.
E dei suoi occhi
di quel colore così difficile.
Ma credo di averlo già fatto e
con tutta probabilità
lo rifarò
ancora
e spesso
e volentieri
Ringraziamo Guido Catalano e vi ricordiamo che potete seguirlo sulla sua pagina Facebook, sul suo sito internet e da poco anche su Instagram.
2 commenti
gilda.m
Questi sono i poeti che ci piaccioni, freschi, vivi…
bella intervista e ottimi versi 🙂
L'Altrove - appunti di poesia
Grazie, piace tanto anche a noi. É una delle sfumature della poesia attuale che si evolve ma che resiste, comunque resiste.