Estratti ed Inediti

Estratto da “I preparativi” di Gian Piero Barbieri | L’Altrove

Stasera ho cenato con le ortiche
con la loro acuta magrezza, lo stigma
dei minimi aghi invisibili,
il filo spinato delle siepi
la puntura della paura del confine

Mangiavo piano con la loro storia
di emarginazione, lontanissime
nel fosso accanto alla strada –-
le alabarde delle loro foglie
vesti lacere d’incomprensione
affollate nel margine

Stasera ho cenato con le ortiche
col loro profumo al sole, dietro alle sbarre
lanciato oltre il confino
come un grido
di gentilezza.


amerò
alla fine,
in un falso tramonto,
anche il mio peso, la gravità in me
che mi tiene ancorato, qui, alla Terra;
io, fermaporta della sera,
fermacarte
nel vento di questa pianura,
disperata, sfibrata radice…

Resto qui, e del luogo faccio l’attesa

Vedo la mia impronta
capita dal dialetto dell’erba che inizialmente
si piega e modella la sagoma del mio passaggio
per tornare lentamente
alla sua fiera forma –

resto qui, in attesa dell’ignoto,
a far compagnia
al turno di guardia della Luna


Alla fine, dopotutto
lo so da sempre:
sul fondo rotolando prima
e dopo il buio -–
non accadrà niente;
nulla rimarrà di questo
sovrapporsi d’impronte
e ritardi e appuntamenti.
Però, verso sera, sereno tornando
con le spalle curvate dai perché
sentirò con sollievo dal mio sottoscala
il Ragionier Ugo Fantozzi
ridere di me.


Ogni giorno lavoro ad un nuovo silenzio
con un pugno di fango e le ossa di un passero
ogni giorno
la pelle tesa nel tamburo della piana
nel timpano muto del lago lontano

lavoro per un altro sentire che sento
disumano e mio, diffuso nel giardino che mi segue
come un cane, lontano da chiunque
non lo vuole sentire

aspiro al vegetale

annuso nell’aria il suo denso profumo di tana
scolpire ogni giorno il silenzio:
un sasso tutto solo
nella frana


forse mai più per sempre
questa leggera indifferenza nello sfiorire,
lo sguardo del primo mattino
ai petali di cielo che si sfilano –
non guardarsi più indietro, per sempre;
a malapena tenere un diario di foglie
dov’è ripetuto ad ogni pagina la frase
“mai più, per sempre…”.

Giocare da soli a nascondino
nel vecchio parcheggio che ospitò
anche le tue attese.

…ma allora,
quanto sono importanti le radici strappate delle mani?

Stringerle quasi a soffocare col desiderio di respirare
fino al verde dell’iride minerale,
tenersi in tensione intrecciati
alla corda calata nel buco nero del pozzo
da cui risale una luna trasparente
invisibile e fresca come ogni possibile domani.


PROTEGGIMI

Cielo, chiusa madreperla di conchiglia
e nubi, maschere di buio.
Un’auto mi passa accanto, a sera e
mi richiude nel fruscio della risacca:
mi trovo da solo a passeggiare
schiacciato lungo una spiaggia deserta;
eccomi, lucertola inquieta a spiare spiragli di luce
tra le inferriate delle dita bambine intrecciate
che mi chiudono nella trappola del viso
che ti strappa e custodisce dal tempo.

Riparami
dalla luce buia del giorno,
nell’inespresso, nel taciuto, nell’incompreso
fonda le mie palafitte
nel fiume elettrico ed invisibile
nei denti digrignati delle gramigne –
tra le righe del mio villaggio

trasfigurato, raschiato, incomprensibile
l’unico a non tradire mai nessuno
è il paesaggio.

L’AUTORE

Gian Pietro Barbieri è nato a Treviso nel 1965 e risiede nei pressi del fiume Piave. Svolge la professione di educatore socio-pedagogico. Le sue pubblicazioni: Le stanze dell’airone (Amadeus, 1995), Persistere (Campanotto, 2004), Inventario (Ed. del Leone, 2008), I Blues della Piave (Centro Civiltà dell’Acqua, 2009), Ininterrottamente (Valentina Poesia, 2014), Cartoline dall’errore (De Bastiani, 2018), Torre di Fine (Digressioni Editore, 2020).
Cofondatore de “LaDuraMadre – Nucleo Resistenza Poesia”, si occupa da oltre un decennio di letture e spettacoli nella natura.

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