Riscoprire i poeti

Poesie scelte di Günter Grass | L’Altrove

La mia macchia

Tardi, dicono, troppo tardi.
In ritardo di decenni.
Annuisco: sì, ce n’è voluto
prima che trovassi parole
per l’usurata parola vergogna.
Accanto a tutto ciò che mi rende riconoscibile
ora mi rimane appiccicata una macchia,
netta quanto basta
per gente
che indica con dito senza macchia.
Addobbo per gli anni che restano.
O forse si doveva provare il travestimento,
stendere il velo pietoso?
D’ora in poi mi circonderebbe la quiete
in mezzo a rane gracidanti.
Ma già dico sì, no e nonostante.
Non si può mascherare
il torto sanzionato.
Mai troppo tardi ciò che fu ed è
viene chiamato per nome.
La macchia vincola.

Da Dummer August (Raffaelli, 2008)


Nell’uovo

Viviamo nell’uovo.
La parete interna del guscio
abbiamo già scarabocchiato con osceni
disegni e il nome dei nostri nemici.
Veniamo covati.

Chiunque ci covi
sta covando pure la nostra matita.
Quando usciremo un giorno
faremo subito un ritratto
di chi cova.

Supponiamo, noi, di essere covati.
Ci immaginiamo un bravo pennuto
e scriviamo temi scolastici
su colore e razza
della nostra gallina covante.

Quando usciremo fuori?
I nostri profeti nell’uovo
litigano per una cifra mediocre
sulla durata della cova.
Presumo un giorno X.

Per noia e reale bisogno
abbiamo inventato incubatrici
in apprensione per la nostra progenie nell’uovo.
Volentieri a colei che ci protegge
affideremo il nostro brevetto.

Ma noi abbiamo un tetto sulla testa.
I pulcini senili
embrioni con conoscenze linguistiche
parlano tutto il giorno
e discutono pure dei loro sogni.

E se non fossimo covati?
Se questo guscio non venisse mai forato?
Se il nostro orizzonte fosse l’orizzonte
dei nostri scarabocchi, ore e sempre?
Speriamo di essere covati.

E se anche parliamo della cova
Pure resta da temere qualcuno
fuori del nostro guscio abbia fame
ci schiaffi in padella con un po’ di sale –
fratelli nell’uovo, cosa faremo allora?

Dalla Rivista Poesia, traduzione di Paolo Scotini n.107, giugno 1997


Privi di potere

Leggiamo «napalm» e ci immaginiamo il napalm.
Dal momento che non possiamo immaginarci il napalm,
leggiamo del napalm, finché possiamo
immaginarci meglio il napalm.
Ora noi protestiamo contro il napalm.
Dopo la colazione, muti,
vediamo in fotografia cosa può fare il napalm.
Ci indichiamo l’un l’altro rozzi reticoli
e diciamo: vedi, questo è il napalm.
Presto ci saranno libri di fotografie a buon prezzo
con foto migliori,
dalle quali risulterà più chiaramente
cosa può fare il napalm.
Ci rosicchiamo le unghie e scriviamo proteste.
Ma c’è, così leggiamo,
qualcosa che è ben più terribile del napalm.
Subito protestiamo contro questa cosa più terribile.
Le nostre proteste giustificate, che in ogni momento
possiamo stilare piegare affrancare, le sbattiamo in libri.
Impotenza di cui si fa prova su facciate di gomma.
Impotenza fa suonare dischi: canti impotenti.
Senza potere e con la chitarra. –
Ma con il pugno di ferro e in piena tranquillità
fuori agisce il potere.

Da Poesia tedesca del Novecento, (Rizzoli, 1977) Traduzione di A. M. Giachino.


Quello che deve essere detto

Perché taccio, passo sotto silenzio troppo a lungo
quanto è palese e si è praticato
in giochi di guerra alla fine dei quali, da sopravvissuti,
noi siamo tutt’al più le note a margine.

È l’affermato diritto al decisivo attacco preventivo
che potrebbe cancellare il popolo iraniano
soggiogato da un fanfarone e spinto al giubilo organizzato,
perché nella sfera di sua competenza si presume
la costruzione di un’atomica.

E allora perché mi proibisco
di chiamare per nome ‘altro paese,
in cui da anni anche se coperto da segreto
si dispone di un crescente potenziale nucleare,
però fuori controllo, perché inaccessibile
a qualsiasi ispezione?

Il silenzio di tutti su questo stato di cose,
a cui si è assoggettato il mio silenzio,
lo sento come opprimente menzogna
e inibizione che prospetta punizioni
appena non se ne tenga conto;
il verdetto «antisemitismo» è ‘uso corrente.
Ora però, poiché dal mio paese,
di volta in volta toccato da crimini esclusivi
che non hanno paragone e costretto a giustificarsi,
di nuovo e per puri scopi commerciali, anche se
con lingua svelta la si dichiara «riparazione»,
dovrebbe essere consegnato a Israele
un altro sommergibile, la cui specialità
consiste nel poter dirigere annientanti testate là dove
l´esistenza di un’unica bomba atomica non è provata
ma vuol essere di forza probatoria come spauracchio,
dico quello che deve essere detto.

Perché ho taciuto finora?
Perché pensavo che la mia origine,
gravata da una macchia incancellabile,
impedisse di aspettarsi questo dato di fatto
come verità dichiarata dallo Stato d’Israele
al quale sono e voglio restare legato
Perché dico solo adesso,
da vecchio e con l’ultimo inchiostro:
La potenza nucleare di Israele minaccia
la così fragile pace mondiale?
Perché deve essere detto
quello che già domani potrebbe essere troppo tardi;
anche perché noi — come tedeschi con sufficienti colpe a carico –
potremmo diventare fornitori di un crimine
prevedibile, e nessuna delle solite scuse
cancellerebbe la nostra complicità.

E lo ammetto: non taccio più
perché dell’ipocrisia dell’Occidente
ne ho fin sopra i capelli; perché è auspicabile
che molti vogliano affrancarsi dal silenzio,
esortino alla rinuncia il promotore
del pericolo riconoscibile e
altrettanto insistano perché
un controllo libero e permanente
del potenziale atomico israeliano
e delle installazioni nucleari iraniane
sia consentito dai governi di entrambi i paesi
tramite un’istanza internazionale.

Solo così per tutti, israeliani e palestinesi,
e più ancora, per tutti gli uomini che vivono
ostilmente fianco a fianco in quella
regione occupata dalla follia ci sarà una via d’uscita,
e in fin dei conti anche per noi.

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