Estratto da “Ritrovamento del corpo” di Massimo Maggiore | L’Altrove
L’incoscienza del seme
che non fa altro che ritornare,
è programmato allo scopo
si insedia ovunque,
senza difese possibili,
anche in un’arca di ruggine
purché ci sia una tréma di terra.
Il suo volere è quello delle correnti
o del ventre di un uccello.
Ti rimarrà nella testa
quell’incosciente arrampicarsi delle
forme
che germinano caos e muovono da un ordine.
Ti rimarrà nella testa
il suo errare fin dove
si sfalda l’etere,
un buon posto per attecchire
nello spazio di una falange
per le radici corte,
a dimorare nella volontà del vento.
Mai come allora
ebbi il senso dell’aria,
come due mari che si incontrano,
l’uno non essendo ancora l’altro
né più se stesso,
così il fronte invernale
penetrava le ultime scaglie
d’estate,
la veranda si riempiva
di foglie e polvere,
l’accumulo del tempo
ricopriva di sé
l’ardore diurno
e la prevalenza della buganvillea,
che stondava, impostora,
gli spigoli.
Poi il letto d’acciughe
e i lembi di pelle
intimiditi
imprimevano coi loro scontorni
la retina al socchiudersi
delle palpebre,
al primo refolo
da ponente.
Se a ogni sguardo
corrispondesse una verità
non ci sarebbe più bisogno
di guardare.
Non ci sarebbe nemmeno bisogno
della funzione del collo
al di fuori di quella di reggere la testa
non più di girarla e sollevarla.
La non verità
ci libera dal paradosso della
pressione verso il basso,
ci fa antennisti del labiale
captatori di sibili tra il fracasso
ci salva dalla rigidità cervicale.
Dilatato nell’immaginarsi
cosa accadesse agli altri
su quali sogni issassero
le loro fughe
di quali dolori o piaceri
fremesse il loro cuore.
Il mistero si rintana
in una condizione comune
nota, il lamento esce col fiato
che spia sonoro il pesce tra il vapore
componendosi in melodie parallele
a quelle del sobbollire rubrico di mezzogiorno.
Le lacrime rigano il volto
sul baccalà in cottura,
si sa tutto di tutti
si mesta all’unisono.
Dai, imprimiamo questo nulla
facciamone una lastra
ai sali d’argento
che nel nulla si intraveda
il nostro passaggio.
Ancora si avverta
il nostro giro intorno al vuoto
presi per mano
dai lembi del tardo pomeriggio
quando comincia a derubricarsi il giorno
a stingersi nel buio
la nostra radiazione di fondo
ché l’impressione
verrà presto sovrascritta
e di noi resterà comunque
l’aria cambiata.
L’AUTORE
Massimo Maggiore è nato nel 1971 nel Salento leccese, vive a Milano da molti anni.
È avvocato specializzato in diritto delle tecnologie digitali e della rete e in proprietà intellettuale. Insegna all’università Bocconi. Ha pubblicato saggi di materia giuridica in rivista e volume.