Poesie scelte di Umberto Piersanti | L’Altrove
Il giglio della sabbia
il giglio della sabbia, lo conosci?
fragile più di ogni altro,
s’alza solo dove il tempo s’arresta,
lì, presso la scogliera immensa,
più d’un giorno non dura,
breve come il miraggio
della maga anche lei sola,
le bestie la cerchiano e le rupi,
brune ancelle nella sosta
tra il gioco della palla e i panni stesi
del fiore e di parole riempirono i canestri,
anche al naufrago appare
e lo consola
oggi che le nubi mi cerchiano
e i pensieri,
bloccato dentro l’auto
sull’Appennino
la grandine che scorre
contro i vetri,
donna a quel giglio
io ti vorrei accanto,
stenderci presso il fiore,
fissare il mare,
sull’acqua che ci fascia
il gabbiano non vola
non scorre il tempo.
L’anima
io non avevo mai capito
da dove l’anima viene tra gli spini
ma l’anima è piccola, fatta d’aria,
passa tra gli spini e non si graffia.
Altrove
no, non in una foresta di simboli
questa casa
che non sai dove sia
ma fuori, fuori
da ogni plaga della memoria
anche la più remota,
da ogni storia e vicenda,
ma vera, vera
più d’ogni altro giorno,
d’ogni altra ora
che sia la più chiara
o la più cupa
qui le erbe sono le più verdi
e alte,
ondulate e morbide
dai colli scendono
alle case
il cerbiatto è lì,
poco distante,
dove l’acqua è più limpida,
alla fonte,
e tu lo guardi bere
e sei felice
dietro la casa
c’è una scala lunga
il solaio raggiunge
luminoso,
la paglia lo rischiara
fin’oltre i vetri,
no, non ci sono gli angeli
ed i cori,
ma le sorbe odorose
dentro i canestri
un canto ti raggiunge
nella luce,
tra i legni del solaio
trapela lieve,
non sai chi è la donna
che li intona
e t’entra dentro il sangue
e ti rallegra
e guardi lo scoiattolo
che sale
rapido per il tronco
e giunge al cielo.
Il passato è una terra remota
a Giulia
no, non tra rossi papaveri
e fiordalisi come l’antica
col velo dentro al quadro
ma alta sugli stivali
nel terrazzo fumi,
e non mi guardi,
poi su gran verde stesa
quel tuo volto acceso,
e accesi gli occhi
così azzurri e persi,
sei la ninfa riversa
nell’attesa
e la tua bionda carne
m’invade e piega
passano innanzi agli occhi
le figure,
in altri tempi
e luoghi lontani
e persi, tu sotto la cascata
t’infradici i capelli
neri e sciolti
e mi sovrasti
chino sulla roccia
non conosci quei lampi,
non sai i tuoni,
Dicono che i soldati
salgono su lenti
dalla marina,
lei siede alla ringhiera
contro i bei vetri,
tu non ricordi il volto,
non sai la veste,
solo quelle ginocchia luminose
che appena intravedi
fra le trine
quando la casa cambi
o la dimora,
salgano le memorie
fitte alla gola,
e se tendi la mano
quasi le tocchi,
ma il muro che le cinge
è d’aria e vetro,
nessuna forza
lo può oltrepassare
il passato è una terra remota
magari non esiste,
non sai dove
Madre
Madre, così lontani
I volti,
oltre la nebbia sconfinata
-un fumo li disegna
appena, appena
come ciocco ormai spento
fa nel camino –
dietro la casa antica,
dietro la balaustra
che s’apriva all’Immenso,
lì del padre s’aspetta
il ritorno
e la sorella bruna
mi guida
alla ricerca del muschio
nelle valli d’infanzia
sconfinate
e con gesti perfetti
l’altra dispone
limpide statuine
nell’angoliera
non ho più immagini
d’allora
ma quello è un tempo
non adatto a pellicole
e figure
e nella mente s’appanna
a poco a poco
con gli occhi
e con le mani
ti cerco il volto,
la memoria pervade
la mia giornata.