Giovani Poeti

Giovani poeti: Pietro Edoardo Mallegni | L’Altrove

Vi presentiamo oggi Pietro Edoardo Mallegni, giovane autore nato a Carrara nel 1995.
Nella sua biografia leggiamo delle sue due grandi passioni: la cucina e la scrittura, amori che lo porteranno a intraprendere professionalmente la strada del cuoco e quella dell’appassionato scrittore di poesie. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice Marco del Bucchia la sua prima raccolta Il dedalo in me, e vince il premio “Michele Mazzella” con l’atto unico Geshua e il crollo dell’io, nel 2015 pubblica un’altra raccolta intitolata Il Dio Dada e si avvicina al movimento poetico-artistico italiano “Dinanimismo” guidato e fondato da Zairo Ferrante. Successivamente ha pubblicato le raccolte di poesia intitolate Neurocidio e Il nulla, rispettivamente pubblicate con le case editrici Limina Mentis ed Europa Edizioni. Del 2023 è Profumo di liquirizia edita da RP Libri.
Ha partecipato a diverse antologie curate da Ivan Pozzoni per la casa editrice Limina Mentis e ha partecipato, ottenendo varie menzioni di merito.

Abbiamo intervistato l’autore per farlo conoscere meglio al nostro pubblico.

Grazie per la tua disponibilità. Domanda di rito. Quando hai iniziato a scrivere?

Ho iniziato a scrivere a 12 anni, dedicandomi a piccoli testi

Cosa cerchi di dire con la tua poesia? Ritieni che la tua scrittura sia un monologo o un dialogo?

Cerco di dire o di dirmi ciò che sono, ciò che provo e ciò che vivo, sfruttando quella serie di eventi che nella loro singolarità possono dare descrizione quanto più ampia possibile della vita e delle sue peripezie. Vorrei tanto che la mia poesia fosse un dialogo, ma spesso non ponendomi la questione della comprensibilità del messaggio rimane un monologo, un’eco della solitudine che essa prova a descrivere.

“Delle tante definizioni di poesia, la più semplice è ancora la migliore: discorso memorabile.” scrisse WH Auden nell’introduzione a La lingua del poeta.
Cosa ne pensi di questa definizione?

Mi trovi d’accordo, ma fino a un certo punto. Di fatto la poesia da qualche parte riconduce il suo essere a una dimensione capace di oltrepassare il tempo come può essere la memoria, ma oggi giorno non tutta la poesia desidera andare oltre il singolo momento che essa vuole cantare, come se volesse essere un istantanea fotografia di un sentimento, ma che decide di sopravvivere solo se allegata al sentimento stesso; talvolta ovviamente l’universalità di uno scritto è talmente evidente che prescinde le volontà dello scrittore. Sul fatto che sia un discorso anche qua mi trovi d’accordo, ma fino a un certo punto. Il discorso prevede che ci sia qualcuno disposto ad ascoltare e talvolta persino a rispondere, in più la trattazione specifica del discorso presuppone che chi scrive sappia bene di cosa stia parlando, ma talvolta ci sono emozioni, vibrazioni, che rimangono chiuse dietro un mistero e la loro impossibilità di descrizione e comprensione può solamente cavalcare la simbologia retorica e tramite metafore e analogie avvicinarsi a descrivere ciò che sono.

D’altro canto, tu come definisci la poesia? Te lo sei mai chiesto?

La poesia per me è un’istantanea. Un tentativo tramite lessici, figure retoriche, suoni e costruzioni di immobilizzare sul foglio un qualcosa che non può essere detto tramite la prosa, una narrazione di ciò che non può essere descritto, ma può essere solamente compreso e, sempre a mio parere, la bravura di un poeta sta nel ricercare quelle immagini e quei suoni che più di tutto, si avvicinano a descrivere ciò che egli ha capito, ma che con la prosa e la sua schiettezza si troverebbe ancora più distante dalla definizione reale.

Ecco alcune sue poesie da Profumo di liquirizia:

Di me, la miseria si è innamorata,
“m’ama e non m’ama” fa,
i miei capelli usando come petali,
detestandomi piano
per la crescente calvizie.
Una confusione di animali,
alla musica si è sostituita,
acque bollenti e violini schiantati;
si, ho pagato i miei debiti con l’ansia,
con la paraffina e l’ibuprofene;
le idee bussano alle porte della gola
ed ogni mattina mi reinvento
questo lugubre moderno,
gli argenti mascherati
e le ustioni sulla fronte.

Anonimo ricordo che sono,
nelle vostre teste,
a voi accanto, sfiorando le baite,
vicino alle nuvole dei vostri sguardi:
i vostri vuoti “tutto d’insieme”.


Il cielo colora di arancio e apocalisse, stasera,
un dicembre eterno, quest’anno,
un tumulo di pigiami pietre e foglie di cavolo
arranca sul terrazzo.
Tu sulle piastrelle di questa cucina, nuda,
condensa dei sapori che scivolano sul muro,
ispide curve piene di neve e capelli caduti.
Si respira certezza: una cupa musa,
svestita in salotto.
È un morso rancido di lepre,
prepotente come i colori di Spagna,
quello che ti suono addosso.
Amare: come un incidersi di chiodi nella milza,
danza sui vetri rotti, è un rituale
che appartiene solo agli altri.


Umano peggiorare,
questo è il dimenticabile
avvenire notturno
che mi riservo.

Ostinarsi a vivere,
sentirsi parte di un tutto,
di un genere,
come santi e beati.

Il fervore dell’assenza
è il migliore cipiglio
al quale dare
il mio guaire.

Permane solo una goccia,
un ricordo del mio resistere
novizio alla vita.

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