Appunti di poesia,  Riscoprire i poeti

Addio a Louise Glück | L’Altrove

Ci ha lasciato il 13 ottobre, all’età di ottant’anni, Louise Glück.

Nata a New York nel 1943 e cresciuta a Long Island, ha frequentato il Sarah Lawrence College e la Columbia University. Considerata da molti una delle poete contemporanee americane più talentuose, Glück è nota per la precisione tecnica, la sensibilità e la comprensione della solitudine, delle relazioni familiari, del divorzio e della morte della sua poesia. Il poeta Robert Hass l’ha definita come una dei poeti lirici più pure e compiuti che scrivono oggi. Nel 2020 le è stato assegnato il Premio Nobel per la letteratura “per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende universale l’esistenza individuale”.

Glück è stata autrice di più di dodici libri di poesia, alcuni tradotti in italiano da Il Saggiatore, è stata vincitrice del National Book Award, e Poems 1962-2012 (2012) e anche del Los Angeles Times Book Prize.

I primi libri della poeta presentano personaggi alle prese con le conseguenze di storie d’amore fallite, incontri familiari disastrosi e disperazione esistenziale, e il suo lavoro successivo continua a esplorare l’agonia del sé. Il suo primo libro di poesie, Firstborn (1968), è stato riconosciuto per il suo controllo tecnico e per la sua raccolta di narrazioni isolate e disamorate. Le narrazioni criptiche di Glück invitano alla nostra partecipazione: dobbiamo, a seconda dei casi, completare la storia, sostituirci ai personaggi di fantasia, inventare uno scenario da cui chi parla possa pronunciare le sue battute, decodificare il significato, “risolvere” l’allegoria.  Il suo potere è stato quello di allontanare l’io lirico come soggetto e oggetto di attenzione e di “mporre una disciplina di distacco su materiale urgentemente soggettivo.

Le poesie di Glück in libri come Firstborn, The House on Marshland, The Garden (1976) , Descending Figure (1980) , The Triumph of Achilles (1985) , Ararat (1990) e il vincitore del Premio Pulitzer The Wild Iris (1992) accompagna i lettori in un viaggio interiore esplorando i loro sentimenti più profondi e intimi. La capacità di Glück di creare poesie che molte persone possano comprendere, relazionare e sperimentare intensamente e completamente deriva dal suo linguaggio ingannevolmente diretto e dalla sua voce poetica. Il linguaggio di Glück è fermamente semplice, notevolmente vicino alla dizione del discorso ordinario. Eppure la sua attenta selezione del ritmo e della ripetizione, e la specificità anche delle sue frasi idiomaticamente vaghe, conferiscono alle sue poesie un peso tutt’altro che colloquiale. La forza di quella voce deriva in gran parte dal suo egocentrismo, letteralmente, perché le parole nelle poesie di Glück sembrano provenire direttamente dal centro di lei stessa.

Poiché Glück scrive in modo così efficace di delusione, rifiuto, perdita e isolamento, i revisori spesso si riferiscono alla sua poesia come “cupa” o “oscura”. È chiaro come le sue preoccupazioni fondamentali fossero il tradimento, la mortalità, l’amore e il senso di perdita che lo accompagna; lei è in fondo la poetessa di un mondo caduto. Pochi poeti, tranne Sylvia Plath o Anne Sexton, sono sembrati così alienati, così depressi, così spesso, e hanno reso quell’alienazione esteticamente interessante. Lettori e revisori si sono anche meravigliati del dono di Glück nel creare poesie con una qualità onirica che allo stesso tempo affronta la realtà di argomenti appassionati ed emotivi. È una poesia che funziona perché ha una voce inconfondibile che risuona e porta nel nostro mondo contemporaneo la vecchia nozione secondo cui poesia e visionario sono intrecciati. La raccolta vincitrice del premio Pulitzer di Glück, The Wild Iris (1992), dimostra chiaramente la sua poetica visionaria. Il libro, scritto in tre segmenti, è ambientato in un giardino e immagina tre voci: i fiori che parlano al poeta-giardiniere, al poeta-giardiniere e alla figura di un dio onnisciente. Il linguaggio di Glück ravviva le possibilità di un’affermazione elevata, affermazione come dal tripode delfico. Le parole delle affermazioni, però, erano spesso umili, semplici, consuete; era il loro tono gerarchico e ultraterreno a distinguerli. Non era una voce di profezia sociale ma di profezia spirituale, un tono che non molte donne avevano il coraggio di rivendicare. Meadowlands (1996), il primo nuovo lavoro di Glück dopo The Wild Iris, trae slancio dalla mitologia greca e romana. Il libro utilizza le voci di Ulisse e Penelope per creare “una sorta di esperimento retorico alto-basso negli studi sul matrimonio.

Raccolto (da Iris Selvatico, Giano Editore)

E poi viene il gelo; del raccolto è inutile parlare.
Comincia la neve; finisce la finzione della vita.
La terra adesso è bianca; i campi splendono al sorgere della luna.
Io siedo alla finestra accanto al letto, guardo la neve cadere.
La terra è come uno specchio:
calma su calma, distacco su distacco.
Ciò che vive, vive sottoterra.
Ciò che muore, muore senza lotta.

Vita Nova, invece, è pervasa di simboli tratti sia da sogni personali che da archetipi mitologici classici. La successiva raccolta di Glück, The Seven Ages (2001), affronta in modo simile sia il mito che la dimensione personale in quarantaquattro poesie il cui argomento spazia per tutta la vita dell’autrice, dai suoi primi ricordi alla contemplazione della morte. Il libro successivo di Glück, Averno (2006), prende il mito di Persefone come pietra di paragone. Le poesie del libro ruotano attorno ai legami tra madri e figlie, alle paure del poeta di invecchiare e a una narrazione riguardante una Persefone moderna. Si tratta di un interesse unico da parte della poeta nello sfruttare le sorgenti del mito, collettivo e personale, per alimentare la sua immaginazione e, con chiarezza duramente conquistata e musica sottile, per lottare con alcuni dei nostri più antichi e più paure intrattabili: l’isolamento e l’oblio, la dissoluzione dell’amore, il fallimento della memoria, il crollo del corpo e la distruzione dello spirito.

Averno

Molto tempo fa, sono stata ferita.
Imparai
a esistere, come reazione,
fuori dal contatto
con il mondo: vi dirò
cosa volevo essere –
un congegno fatto per ascoltare.
Non inerte: immobile.
Un pezzo di legno. Una pietra.

Perché dovrei stancarmi a discutere, replicare?
Quelli che respiravano negli altri letti
non erano certo in grado di seguirmi, essendo
incontrollabili
come lo sono i sogni –
Attraverso le veneziane, osservavo

la luna nel cielo notturno restringersi e gonfiarsi –

Ero nata con una vocazione:
testimoniare
i grandi misteri.
Ora che ho visto
e nascita e morte, so
che per la buia natura esse
sono prove, non
misteri –

A Village Life è una sorta di un’antologia di Spoon River dei giorni nostri nel suo uso del villaggio come una lente conveniente per esaminare le vite all’interno, che fanno da contrappunto ai ricordi della sua vita dall’esterno.

Louise Glück è stata dunque una poeta che ha scritto con una buona dose di veleno e crudeltà, ma sempre in modo eccellente, con lucida precisione.

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