Poesie scelte di Giuseppe Bonaviri | L’Altrove
Valfrancesca
Camminavamo lungo le acque verdi del Liri,
fra gli arbusti bassi e i ciottoli levigati
su cui saltavano le rane.
Tu mi indicavi una donna che lavava
curva in una insenatura scintillante
e non sentivi che il tuo giovane cuore di donna
alitava sui pioppi dalle molte foglie e sull’erba dei prati.
Ci tenevamo per mano e in una radura
in cui cresceva solo qualche macchia di rovo
vedemmo una grande ruota
che con le sue palette apriva l’acqua
in un ventaglio di piccole onde
con un giro perenne di morte e di vita.
Tu mi dicesti: “Bello”
e restasti chiusa nella tua contemplazione d’amore
e non vedesti che sulla superficie uguale del fiume
si levavano gli uccelli della sera
che cantavano un loro cupo triste canto.
Piccola sinfonia
Chitarra suonava fanciullo
nel paese in meriggio addormentato;
in eco, zufolo sul monte.
In ghirlanda di roselle
e giacinto girava l’equatore;
senza gas e idrogeno era
piano piano in espansione il mondo..
(Tra la galassia d’Andromeda e quella del Granchio
si sentano, in sottofondo, suono, e suonelli, di violino,
tromba, piatti, arco e viola.)
Chi sono nel pomeriggio?
Nel pomeriggio son fogliolina
tremula di carrubo,
ma del carrubo di Camuti
dove dolce risuona il vento.
Vi si posano colombi infreddoliti
becchettandone le foglie gialle
morenti, ed io prego l’Infinito
Iddio fogliuto perché mi reinnervi.
Sul noce crescono dentro le galle
formicolanti piccole larve,
io risucchio linfa dalle zolle, e, o Dio!,
ritrémulo in ispavento nel carrubo.
La partenza
La madre
Per te in orazione, io sono senza oblio,
qui fra ginestre il tramonto è di seta,
oscuro treno ti portò lontano. Le foglie
tessono reti d’ombre, e sàcculi.
Il figlio
L’acqua del mare è il mio cammino,
e tu non mi senti, io errante tremo.
Sarà rosso il paese sulle tegole,
e molli le balze d’erba – il rivo geme?
La madre
Qui gentile gallo canta per te, fra poco
bianca capigliatura avranno le stelle.
Mori e cristiani raccolgono timo;
molto confusa è la tua voce per me.
Il figlio
Mi langue l’occhio, madre, e a me sopra
il mare ruota senza allegrezza.
La mia mano è fronda tra
alghe – vizza, la Fenice non rinasce.
La madre
Allungo le dita per cercarti, figlio,
ma ti sento in mezzo a ritorte radici.
Nella terra dalle pietre rosse, sai,
va il carretto: tu fosti per me giglio.
Il figlio
Suonano pesci sul mio corpo, madre,
scintilla mi fu la mente che in alto
si dissolse nel boreale vento.
Attorno non ho rugiada
in selva; qui è abisso.