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Su “La rosa rosa” di Elia Belculfinè | L’Altrove

La resurrezione della Poesia Maledetta.

Salvatore Toma, Antonio Leonardo Verri e Claudia Ruggeri! Vati salentini pari liricamente ai poeti maledetti francesi Charles Pierre Baudelaire, Paul Marie Verlaine e Jean Nicolas Arthur Rimbaud perché come essi hanno dato voce ai loro dolori interiori mostrandoci le sofferenze, le lacrime e le ferite spirituali come le uniche vere strade da perseguire in quanto animate da vere, sincere e palpitanti emozioni, ma in particolar modo come specchi riflessi della Morte da loro concepita come la vera Vita da consumare in quanto animata da purezze, verginità e cristallinità interiori a differenza della terrena esistenza giornaliera composta da letamose falsità, accecanti avarizie, lussuriose soggiogazioni e depravate carnalità. Poesia maledetta, quella salentina, che ai giorni nostri è in via d’estinzione se non fosse per alcuni poeti come il compianto Gabriele Galloni insieme al vivente sanpietrano Marco Vetrugno e in particolar modo al casertano Elia Belculfinè classe 1983, con la sua seconda raccolta poetica La rosa rosa (RP Libri, 2020).

Opera la sua divisa in cinque sezioni: Operando nel fuoco, Le allegrie del vino. I passati, Le allegrie del vino. I passanti, La rosa rosa e I registri di Marcel.
Sezione la prima in cui il dolore esistenziale, è visto come una candida, truculenta e vampiresca bruma che spreme le ingenue fanciullezze allo stesso modo del Cristo crocifisso, per farle risorgere come oscure creature dagli sguardi cadavericamente scavati e dalle melodiose parole oceanicamente mistiche, ma in particolar modo dalle blasfeme, nefande e depravate carni sanguinanti come le vacue ostie declamanti pure, luminose e soffocanti parole colme di amore spirituale. Carni più nel dettaglio, quelle poetizzate da Elia Belculfinè, come energie in grado di ferire, stuprare e vituperare le dolci reminiscenze esistenziali degli innocenti spiriti posseduti sommessamente dalla Morte, poiché condannati eternamente a cibarsi del dolore animante le brumose oscurità terrene. Dolore esistenziale alla base dell’intera opera e del suo proemio, che nasce dagli intimi dolori interiori reminiscenziali del poeta rintracciabili nella seconda sezione, ovvero dalle sofferenze partorite da puerilità spiritualmente vacue e carnalmente vituperate, in serate erotico-romantiche freneticamente ebbre. Puerilità le sue mutatesi durante la sua interiore esistenza, in sanguinanti reminiscenze dalle balsamiche brume soverchiatrici e dalle drogate parole infettanti, ma in particolar modo dalle carni stuprate, violentate e abusate da antelucane carezze delicatamente verginee. Lacrime le sue, che si trasformano nella terza sezione in cadaverici, glaciali e cimiteriali affetti paterni incapaci di amare la propria figliolanza perché infettati da fangose emozioni, lancinanti parole e trasparenti carnalità conducenti il suo stesso sangue figliale al cospetto della magnanima, onesta, fraterna e compassionevole sorella Morte, che è qui eccellentemente rappresentata nella quarta sezione per quello che è veramente e realmente nella Poesia, ovvero un’astratta energia versante calde e sanguinose lacrime causate da accecanti, asfissianti e morbosi affetti paterni, ma allo stesso tempo al pari del grande scrittore francese Marcel Proust nella quinta sezione, come un intenso e passionale singhiozzo che scortica, purifica, cura i freddi e lapidari spiriti. Singhiozzi infine animati da sussulti biblico-evangelici capaci di partorire ombre visivamente folli e linguisticamente frenetiche, ma in particolar modo ombre dagli accecanti spiriti divulganti onestà, speranze, passioni e fratellanze negli altrui cuori capaci di riconoscere nella Morte la terrena Madre.

L’AUTORE

Elia-Belculfinè

Elia Belculfinè è nato nel 1983 a Caserta e vive nell’omonima provincia. Suoi lavori sono apparsi in numerose antologie di settore. Nel 2012 ha pubblicato per l’editore Aletti la raccolta Primi sintomi di una gravidanza. Sempre per Aletti, è apparso nel saggio Verso la Poesia alla ricerca di senso a cura di Maria Carmen Lama.

La foto del poeta è stata scattata da Maria Domenico Girotto.

A cura di Stefano Bardi.

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