Estratto da “Un gioco che non sono io” di Elisa Cordovani | L’Altrove
Dalla Quarta di Copertina:
Un gioco che non sono io (Nati per scrivere Edizioni) è una silloge poetica contro la violenza di genere. Una presa di posizione, per ricordarci quanto siamo fragili, vittime o carnefici dei nostri chiaroscuri e di quelli degli altri. Un invito a comprendere di quale “gioco”, psicologico e fisico, siamo succubi. E a tirarcene fuori. A dire NO, scegliendo l’amore per se stessi e per gli altri.
Le poesie di Elisa Cordovani raccontano in modo lucido, profondo, straziante e lenitivo insieme, lo stupro non di un corpo, non di una mente, ma di una vita intera. Le donne ritratte nei versi vanno fino in fondo al proprio dolore, per capirlo, ma soprattutto per essere consapevoli di potergli sopravvivere. Sono donne che si trasformano nella vergogna che provano, nelle lacrime che pensano di non aver diritto a versare, negli occhi feriti dei loro padri e madri. Donne, i cui volti e pose, ritratti da Alice Walczer Baldinazzo, sono figure magnifiche che si fanno amare e ripudiare al medesimo tempo, senza che si riesca a dimenticarle.
ROVESCIO
La congiunzione perfetta
tra il compromesso e la
periferia della mia rabbia.
Cuspidi di dolore,
che ho registrato a rovescio
senza scomodare troppe vocali.
Se mi lascio nuda d’occhi
e tempeste,
sorge il silenzio,
dopo lo schianto della mia innocenza,
sulla mia incongruenza
di carne e sogni,
sullo smarrimento,
che io indosso senza vessillo,
e questa fragilità di essere
sangue e parole
a fiatare lungo la schiena,
a farmi di una lacrima
la stanchezza di una vita.
Ho combattuto fino a essere
sapore della sconfitta.
Che a diventare uomini
si lascia segni,
senza mai darci un nome.
SE FINISCE IL MIO CORPO
Se finisce il mio corpo,
saturazione di ombra e dolore,
un bianco abbacinante di liberazione,
il dolce ritratto della mia mano
a simulare l’assurdo.
Se finisce il mio corpo,
se sfuma,
se perde le sillabe,
la loro sostanza.
Se, inesorabile, tramonta la sera
e ho sempre avuto il torto
di portare oceani e foglie
dentro i miei passi,
i pugni stretti all’insaputa
di chi se ne è andato,
un groviglio di pretese e solitudini,
l’artificio della malinconia
che avrà ragione sul sorriso, sul pianto,
su questo mio corpo che finisce,
indifferente alla sua compostezza,
al bagliore e all’universo.
Se finisce il mio corpo,
il suo esistere nella polvere
e nelle parole,
il fiorire degli occhi al cielo
e all’azzurro che solo tace,
perdo la mia connotazione al niente,
come quando la follia mi ha sopraffatto.
STUPRO
Non c’è più tempo,
ossa, voci ardenti,
un fiore e il corallo brillante,
smetti di innalzare sogni
su un’immagine in bianco e nero,
la parola “aiuto” cristallizzata
in un giorno perfetto
– troppi profumi, troppi seni e candide cosce –
dimmi se l’oceano ti riempie la voce,
se l’odore d’umano ti corrompe la vita,
ti strappa le gonne.
(Non smette questa brace amara
di dilaniare).
La povera grammatica dei miei gesti,
il rinnegare il mio grembo,
l’accostare la sorte all’innocenza,
l’orlo lacero alla preghiera.
E poi l’agghiacciante lirica di un tribunale,
il paradiso inumano dell’“hai goduto?”
Un pregare copiosamente alla fonte
della grazia, il perdono per me sola,
il verbo innocente e la sua lama alla gola.
Che si levi il vento per far ritorno o perdersi
per sempre,
che il mondo si annulli o meno,
sull’orlo degli occhi resti una speranza.
DI ME CHE NON TROVO IL CIELO
La solitudine fatta frammenti,
disegnata su corpi, luci, dita nodose.
Voglio ricordare quel giorno,
lento e gentile,
una voce che mi intona,
se anche tutto è già stato scritto,
in un vile finale dai gesti antichi,
un sollievo chiude gli occhi,
addormenta l’Eternità,
affastella la neve
su ogni cuore stanco.
Basta parole tagliate dalla cortesia,
l’atomo primo che sconvolge la storia,
increspature di sudicie carni e
ancor più luridi desideri.
Di me che non trovo il cielo
e la sua vastità per distendermi e riposare.
L’AUTRICE
Elisa Cordovani è nata nel 1976 a Empoli (FI) e vive a San Miniato (PI), dove lavora nella grande distribuzione. Impegnata nel Terzo Settore in varie tematiche, ha svolto attività di volontariato in un centro antiviolenza e in un’associazione che assiste i bambini malati di cancro. Fa parte del direttivo dell’associazione Open Doors che si occupa di teatro. Scrive racconti e poesie, pubblicati in varie antologie.
L’ILLUSTRATRICE
Alice Walczer Baldinazzo è un’illustratrice vicentina. Dopo il diploma, si laurea in Archeologia all’Università degli studi di Padova. Il suo lavoro percorre due binari paralleli ma complementari: da un lato la professione di archeologa e l’abilità nella copia dal vero la portano ad allestire tavole grafiche per realtà museali in Europa; sull’altro binario corre il suo estro creativo che si manifesta nelle attività legate all’illustrazione.