Nasceva oggi: Ingeborg Bachmann | L’Altrove
Nasceva oggi la poetessa, scrittrice e giornalista Ingeborg Bachmann, nota anche come Ruth Keller.
Fra le più apprezzate poetesse austriache del secondo novecento, nacque a Klagenfurt nel 1926. Nel 1953 raggiunse la notorietà con la raccolta di poesie Die gestundete Zeit. Vinse i premi più importanti per la letteratura tedesca, fra cui il Buechner. Fu legata sentimentalmente al poeta Paul Celan, con cui intraprese anche una fitta corrispondenza epistolare. La storia d’amore tra i due viene narrata nel libro Ci diciamo l’oscuro di Helmut Böttiger e pubblicato in lingua italiana da Neri Pozza.
Come non ricordare i versi, tratti dalla poesia Corona, che Celan dedicò alla Bachmann:
Ci diciamo l’oscuro
ci amiamo l’un l’altra come papavero e memoria
Ingeborg fu una vera viaggiatrice e visse a Monaco, Berlino, Zurigo e a Roma, dove morì nel 1973.
Molte delle sue opere sono state tradotte nella nostra lingua da varie case editrici, fra cui: Malina (Adelphi, 1973), Il trentesimo anno (Feltrinelli, 1963), Il caso Franza (Adelphi, 1988) e la recente raccolta Poesie (Guanda, 2006).
Poesia simbolica, quella della Bachmann, che si muove attorno ad immagini significative ed evocative. Temi ricorrenti e quasi irriverenti: la morte, il dolore, in primis, nei suoi versi prendono altre forme, vengono espressi con intelligenza e ritmi inaspettati.
Ecco una selezione di poesie di Ingeborg Bachmann:
Non varcare le nostre labbra,
parola che semini il drago.
È vero, l’aria è soffocante,
la luce schiuma di acidi e fermenti,
sulla palude nereggia un velo di zanzare.
Ama le biccherate la cicuta.
È in mostra una pelle di gatto:
la serpe s’avventa soffiando,
lo scorpione inizia la danza.
Non raggiungere le nostre orecchie,
fama dell’altrui colpa:
parola, muori nella palude
da cui la pozzanghera sgorga.
Parola, stai al nostro fianco
tenera di pazienza
e d’impazienza. Bisogna
che questa semina abbia fine!
Non domerà la bestia colui che ne imita il verso.
Chi rivela segreti d’alcova, rinunzia per sempre all’amore.
La parola bastarda serve al frizzo per immolare uno stolto.
Chi ti richiede un giudizio su questo straniero?
Se non richiesto lo formuli, prosegui tu il suo cammino
da una nottata all’altra con le sue piaghe ai piedi: va’! e non ritornare.
Parola, sii nostra, libera, chiara, bella.
Certo, dovrà avere fine ogni cautela.
(Il gambero si ritrae,
la talpa dorme troppo,
l’acqua dolce dissolve
la calce, che pietre ha filato).
Vieni, benevolenza fatta di voci e d’aliti,
questa bocca fortifica
quando la sua fralezza
si inorridisce e inceppa.
Vieni e non ti negare,
poiché in conflitto siamo con tanto male.
Prima che sangue di drago protegga l’avversario
questa mano cadrà dentro il fuoco.
O mia parola, salvami!
Esco fuori da me,
dai miei occhi
mani, bocca,
esco fuori da
me, una schiera
di bontà e divino
che deve rimediare
alle malvagità
accadute
Vado davvero pazza per la
morte, il fruscio
del taffetà, le
ruches dell’acqua,
l’ho già indosso,
il piccolo colletto,
perché
la scure sappia
dove va staccata
la mia testa dal corpo. Li ho
ancora, testa e
corpo? oh no,
così inganno la morte,
ho regalato
la mia testa, l’ho gettata
al branco, ma il mio corpo
non l’ha avuto nessuno,
all’ingresso l’hanno
respinto. Un signore mi ha detto,
non ha detto neppure, questo