Estratti ed Inediti

Estratto da “Una ciambella con il buco nel cuore” di Maria Francesca Consiglio | L’Altrove

Petalo reciso

Fosti corolla portante ed io tuo petalo preferito,
d’un tutt’uno vivemmo all’ombra del pino.
Mai di pioggia, luce o aria ebbi appetito,
di te solo bramai come l’ubriaco brama il vino.
Cercasti di modellarmi rinnegando la natura
sicché non fui più petalo e neppur mai corolla.
Per quell’informe risultato cercasti la cura
nascondendomi come un ago in mezzo alla folla.
Eppur qualcuno ci trovò nel giardino nascosto
e con mano all’improvviso interrogò il fato,
strappò via ogni tuo petalo in quel dì d’agosto
lasciandoti nuda ma complice di quel reato.
Recisa vissi trascinata da impietosite correnti
ballerina masochista di quella perpetua danza,
spettatrice incapace d’interrompere quegli eventi,
l’altrui gambo divenne la mia unica pietanza.

Fiore di melassa

Voglio cogliere i fiori sul tuo vestito,
quei fiori che su di te mai appassiscono.
Voglio coglierli come se potessi farne primavera
con forbici d’appuntita arguzia che siano
pinne di squalo, che taglino acqua e pelle,
che poi la fame seguono con occhi di lucido oblio.
Con i fiori colti farò un giaciglio di mosaico,
di raso e fili d’erba, di dita di seta e rugiada.
Accoglierò i tuoi canti nei miei sentieri nascosti
e quando il tuo eco accarezzerà la corteccia
il mio cuore di cipresso sanguinerà
per cospargersi in onde di foglie e terra.
Voglio cogliere il tuo sguardo notturno,
la tua quiete che violenta le mie aspettative,
i tuoi pensieri, navi senza capitano,
che la brezza spazza violentemente
e costringe a ripiegare nel mio porto senza faro.
Voglio la tua mente d’aquilone,
esserne il filo, spezzarmi continuamente
per perderti e rincorrerti, poi ritrovarti,
ammalarmi e curarmi della tua instabilità
perché se il tuo sangue è pianto di luna
il mio è veleno di sirena che alberga il mare.
Vorrei è per il popolo ma io sono tiranna.
Dunque voglio di cieca passione ed elmi lucenti,
di guerre senza pace e cadaveri allegri,
di glaciali deserti e miraggi senza sogni,
delle mie dita che t’allattano le parole
che poi le disfano come cerchi di fumo
di un capo villaggio senza tribù.
Voglio disegnarti l’orizzonte con matita di melassa
così che possano impigliarsi i tuoi pensieri
e tornare sporchi a calpestarmi il cuore,
e tornare ubriachi nelle notti di dolore.

Un gigante non ha dimora

Non ho dimora nella quale tornare
così senza meta vago nell’altrui vite.
Qualcheduno m’offre sicurezze ambite
e del cantuccio suo faccio il mio focolare.
L’anima mia s’inventa una vita e cresce,
s’irrobustisce d’una umana parvenza.
Si desta così di chi m’ospita la coscienza
e come un riccio iracondo dalla tana esce.
Il focolar si sgretola sotto ai miei piedi
così come l’amore che lo straniero ha finto.
I miei anni son sparsi dentro al suo labirinto
e ne raccolgo i resti trafitti dai suoi assedi.
È difficile sopportar le follie d’un gigante
quando s’ama col cuore d’un nano.
L’esistenza mia s’abbraccia al profano
e nella nebbia torna a vagar barcollante.

Specchiata è la brughiera

Nella brughiera, frutto del ventre mio gelido,
ho atteso il coraggio di chi non teme la bufera.
Su d’una altalena sorretta dal cielo pagano
mi salutavi con le mani di bianca strega.
La tua pelle di timida luna
ho macchiato con i pensieri miei di nubi
e la ragione s’è eclissata di voluttuosa tenebra.
Le mie dita di donna infedele
ti contavano le voglie come fossero rosari,
poi arroganti t’arrampicavano il petto
sino alle viscere del cuore tuo di limbo.
Nel corvino acquerello delle tue fronde
le mie carezze ladre s’annidavano
attendendo con silenzi di quercia,
piangendo respiri d’aureola sfiorita.
Coi tuoi capelli, rami di notte oppiacea,
che pensieri e verità seppelliscono,
ho tessuto il tuo passato delittuoso.
La coscienza ci ha gettato fuori dall’Eden nostro.
Abbiamo lasciato che gelasse la brughiera
tentando di cancellare l’orme delle fughe
di noi due, peccati violacei sulla neve.
Specchio contro specchio, ci riflettiamo l’essenza.
Vetro contro vetro, non c’è dato d’unirsi.
Così infine ci sgretoliamo
diventando fiocchi vitrei,
mentre sanguinano l’amore
pupazzi di neve senza bottoni.

Io appartengo

Appartengo a questo crepuscolo
ai pensieri obesi impauriti dall’infarto,
dipendenti sottopagati dalla mia mente.
Appartengo a questa notte
a quei sogni maligni di vana speranza,
ai ritratti grotteschi che m’inquinano il buio
Appartengo alle stelle morte
alle guardiole di sorveglianza dei buchi neri,
ai pianeti sconsacrati diseredati dall’universo.
Appartengo ed obbedisco
alle leggi del pittore cinico
che sulla sua tela mi disegna
tempesta notturna incurante dell’alba.
Appartengo al mondo antico
madre gelosa, grembo asfissiante,
oro in seno e latte d’oppio e miele,
terremoto perenne ch’alita il cammino.

L’AUTRICE

Maria Francesca Consiglio

Catapultata in una modernità castrante, Maria Francesca Consiglio vive in bilico tra la prepotente gravità della sopravvivenza ed il volo ristoratore dell’arte (una falce per estirpare l’ovvietà, malevola e sempreverde erbaccia di questo nuovo secolo dissacrante. La scrittura è la dimensione attraverso la quale anestetizza il dolore della mortalità, Metafore e paradossi sono maschere e megafoni che usa per comunicare il suo dissenso verso tutto quello che spinge l’essere a perdere la propria unicità in nome di una falsa perfezione che sta tacciando la diversità come un male da sopprimere. Alcuni suoi aforismi e poesie sono stati inseriti all’interno di raccolte ed antologie edite dal 2013. Nel 2014 si classifica tra i primi dieci al Concorso Nazionale di Poesia inedita “Libera Verso” con “Vedova viola”, pubblicata successivamente proprio all’interno dell’antologia dedicata ai poeti partecipanti. Nel 2015 pubblica il suo primo libro “Pensieri di una mente pigra”, curandone impaginazione e fotografia. Nel 2016 pubblica il suo secondo libro “Zibaldanza” nel quale mescola frasi, paragrafi indipendenti e poesia. Nel 2017 nasce “Odi oscure” la sua prima raccolta interamente dedicata alla poesia. Nello stesso anno, con il suo componimento “Fiore di melassa”, si classifica al primo posto del concorso letterario “Città di Ravenna 2017” nella sezione poesia. Nel 2018 pubblica il suo quarto libro “Virginia vive”, nuova raccolta di poesie dedicate alla perdita ed alla rinascita.

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