Recensione: “La mia lettera al mondo” di Emily Dickinson | L’Altrove
La mia lettera al mondo (Interno Poesia, 2019) di Emily Dickinson è una silenziosa ed autentica testimonianza intimista, un’opera che infiamma elemosine d’amore, travolge la pena come un dolore prolungato, accompagna lusinghe arrendevoli nell’indifferenza di ogni inclinazione umana. In memoria di un epilogo dell’assenza che accresce la perennità del destino poetico.
Nella poesia di Emily Dickinson l’eco del tempo, rallentato e carico di densità emotiva, attrae nell’incantesimo della crudele tenerezza del cuore, nella linea d’ombra che confonde sogno e realtà. I versi della poetessa seguono la lacerante fatalità di un respiro oltre le speranze del desiderio, tracciano il segno di un passaggio inseguendo la ricerca di un giorno in cui si sarà amati. Il suo congedo spirituale è una vertigine dell’anima, un soliloquio per oltrepassare il mondo e passargli “di fianco, obliquo come la pioggia”. L’autrice vive di una struggente ossessione di sensibilità, avvolta nei pensieri poetici in cui cresce la sua infinita tristezza trafitta sulla carta. L’atmosfera dolorosa ed impietosa di ogni incomprensione estende una solitudine estrema, sacrificata e sprigiona il legame con la franchezza dell’esigenza letteraria e le sentenze degli abbandoni. I versi rimarginano consapevolezze amare e profonde e procedono a ritroso nella incorente purezza della vita. Il dono di Emily Dickinson è una rarità di corrispondenze lungo il percorso dell’immobilità delle epigrafi alle sue parole, nell’intensità del suo sguardo vedovo sulla bellezza. Il disincanto difende il nascondiglio privato della saggezza e sceglie la poesia. Contro la strategia di ogni malinconica distanza l’autrice riabilita la sua arte, rinnovando ad ogni equilibrismo esistenziale la facoltà infinita di uscire dal dolore e rinascere nella consistenza della coerenza affettiva e della propria ereditaria efficacia.
Recensione a cura di Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti”