Giovani Poeti

Giovani poeti: Pierluigi Di Nardo Di Maio | L’Altrove

Oggi vi presentiamo un giovane autore: Pierluigi Di Nardo Di Maio.

Pierluigi viene da un piccolo centro abruzzese e fa il pizzaiolo.

Per conoscerlo meglio, gli abbiamo fatto qualche domanda.

Grazie, Pierluigi. Quando hai iniziato a scrivere?

Ho iniziato a scrivere all’età di sedici anni in concomitanza con le scuole superiori, senza saper bene cosa stessi facendo.

Ti sei mai ispirato a qualcuno? Se è sì, a chi?

Più che ispirazione ho i miei cattivi maestri. La Beat Generation, Baudelaire, Walt Whitman, T.S. Eliot.

C’è una poesia che senti tua e che ti ha accompagnato negli anni?

No, non ne ho nessuna. Le ultime poesie che scrivo sono sempre le migliori, finché non scrivo qualcosa di nuovo e subito mi disinteresso del passato.

Salvatore Toma definì il poeta “uno scienziato”. Tu come lo definiresti?

Una persona qualunque che si ferisce continuamente al fine di gioire del proprio dolore.

Infine, ecco alcuni suoi versi:

1

Il dio dalla pelle bianca
che accarezza i fanciulli
mitiga i cerbiatti
spaventa i cani al guinzaglio.

Il dio dalla pelle pallida
invano s’incera il volto.
A rassomigliare ai sassi non basta
esser grassi,
a rassomigliar foglie
non basta essere leggeri.

Il siliforme vento che sagoma le forme
da cui scandagliano i cuori
dei papaveri
o alle primule che sbocciano inquiete
sotto l’ardore dei pini.
Selvaggia verità:
sei sterco che secca.
Ho mangiato troppo, padre
ho voglia di morire.
Ma non vedi, figlio,
non vedi cosa stai facendo?
Non mangio la brina e non guardo le voci
tua madre non è un cinghiale
anche se stanotte abbiamo attraversato l’estate
– Ah – allora è vero! –
– Quel che si dice di vuoi uomini –
Cosa si dice?

Artefatto
gli atomi del cielo allungano i rami
come se volessero crescere a dismisura per palpare l’eternità che non giace.
Dentro la linfa scorre
ma non cade
ogni briciola di intenzione avvizzita.
Ogni desiderio
bruciato
e sotto la chioma delle quercie
che si chiudono a scudo
alle meridiane apoplee dei saturnali
conquistando le mie dolci mani,
Venti sciiti adeguati alle serafiche dee viventi dalle corna lunghe
a lungo sostate
sui leoni sagomati a riflesso.

Barbabietole
fieno e sangue
al sogno che riposa
ma che non pone più domande
mangiando rigorosa
l’ultima mia
vuota domanda.

2

Effemmeridi
al vagabondante cielo che errabonda
alle strade opulente di saturno
gettando graffi agli specchi
sognecchiando i giorni
al tepore dei minuti che fluiscono
fluendo ermetici.

Vieni – Soave –
mano nella mano danzando.
Pelle maculata tra gli arbusti
con le vertigini dei salti che strizzano i tronchi ammuffiti,
carcasse nella notte dei boschi
et mentre un danubio
sinsinai nella mia testa,
ognessando un indizio:
Tra le ossute corna dei nostri padri
sinfibula un docile imitare
a calpestare le erbette dei campi non sono bravi i figliuoli.
A sonnecchiàr scoiattoli regine e – Metastasio di lampedusa –
Tù mi compatisci!

Agghignando un sorriso beffardo alla corte del re sole
io mi inchino:
trasmutastasi dei vaporei artefatti
alle inclinee lapiscenze dei lapislazzuli
sbeffeggiando i principini o i testardi
chini sulla rotta del bianconiglio
amareggiando un ricordo sputato.
Chissene
stasera è festa! – Al ducato di F-francia si cucinano i conigli
Maria maria! – le è così bella sta nuott –
che vi si cali le braghe del piacer a questa tetrabonda fame
che ci spinge a divorarci
nè vero nè vero
Mio chevalier
lei è così
buono
buona carne.

Non saltano, ma cadono
anche i carnivori muoiono:
Sentenza dalle trame.
Aggrovigliate a consiglio di giudice,
mesculando le vasaldìr e le conche dei pioppi
balluginando ai chiavistelle delle orbite
infiammandosi agli occhi che divampano

lux eterna
lux eterna
lux eterna

Alabarde
allo -sm -em -bra -men -to
Dei
soli meccanici.
Al porto degl’iossi
di Sieppa di montale

O le montagne si erigono sulle tombe dei zozzi anticristo
ichi – go ichi – no chi
nì è chiu – na vota sola so vissut –
O pensi che le crisalidi del Dailalama siano sono illusioni?

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