Estratto da “Zero al quoto” di Fabrizio Bregoli | L’Altrove
Fosse poesia
Fosse poesia potrei indugiare
su qualche vezzo cromatico, un radere
di luce tra capelli e volto, indulgere
a un virtuosismo lirico, un pacato
trasgredire metrico, i trucchi buoni
che lusingano in una lana di fiato
stemperano la voce che s’aggruma.
Ma questa scena è minima, assoluta
non si concede appello, assoluzione.
Lui siede agli scalini, tra i piccioni
le gambe lacerate dalle piaghe
intruso tra quei cenci, qui recluso
in un rettangolo di cicche, di sputi
lo sguardo arrovesciato su detriti
di storie, ciò che ne resta tra le unghie
sudice, un bicchiere, stente monete.
Chiede nuda evidenza del suo esserci.
E non serve una poesia, un altro alibi.
Quei ragazzi
Quei ragazzi che si baciano – rogo
di silenzio che raggela lo sguardo
obliquo dei passanti – sono tenera
ferocia d’un abbraccio, labbra, muto
cerchio di palpebre, ma hanno il frastuono
del coraggio, e nessuna ostentazione.
Non chiedere di loro. Hanno perso occhi
nome mani, per sempre. Sono un volto
nel volto che lo cerca, solo un ragazzo
e un ragazzo, nel semplice donarsi
senz’ombra d’omertà
nel fermo paradiso dell’istante.
Settembre
La fine dell’estate è nella polvere
deposta sul silenzio di uno specchio,
il suo netto tracciarsi sulle dita
all’attenuarsi presto dello sguardo,
l’appalesarsi appena delle mani
aggrovigliate al fragile di nocche.
Così ti chiedi chi davvero sbirci
da questi occhi assopiti, di rimando
identici e appannati nel riflesso
del vetro che riverbera sul vuoto,
se sia solo ritaglio sbrindellato
quello sfocato plesso che n’è immagine.
Non è nello svolio di rade foglie
la chiave dell’attesa che si spande,
nel buio che trapela dalle soglie
è la radice al grumo di domande,
conduce a questa accorta persistenza
il ritegno obbligato della luce,
concerto concertante del suo estinguersi.
Di certa pruderie che non sospetti
La vita non si dice, non significa.
Ci s’avvicina come ad un asintoto
dimostra per assurdo la sua ipotesi.
È soluzione che condensa, satura
soggetta a sedimentazione rapida
per gravità vi bascula, precipita.
La vita non si còmpita, non indica.
Si recita ad accentazione sdrucciola
svicola se si sillaba, vi latita.
Ha persistenza solo per istanti
quel poco che vanifica l’antidoto
– consisterne finché si può, si deve –
e radica negli interstizi atipici
quegli attimi che addensa il temporale
per l’attrazione – nota – delle punte.
Frazione di millesimo che sgretola
residue parte e arte, come una zìqqurat
di sovrapposte, d’avventizie carte.
Giorni uguali, dovere al calendario:
bere il caffè di fretta, compilare
la lista della spesa, una begonia
stenta d’annaffiare, il solito letto
che non si vuol rifare, l’iniezione
d’insulina. La breve scalfittura
ad una noia.
Difficile credere
a come la più opaca consuetudine
possa diventare – ora – irripetibile.
L’AUTORE
Fabrizio Bregoli, originario della bassa bresciana, vive oggi in Brianza. Laureato in ingegneria elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni.
Da sempre interessato alla poesia, solo recentemente ha scelto la strada della pubblicazione. Sue poesie sono
presenti in antologie della Fondazione Luzi e di Lietocolle, sulle riviste Alla Bottega, Il Segnale, Versante Ripido, Atelier e in Lezioni di Poesia di Tomaso Kemeny.
Per la poesia inedita gli sono stati assegnati, fra gli altri, il Premio «San Domenichino», il «Dante d’Oro»
dell’Università Bocconi, il «Premio della Stampa» ad Acqui Terme.
Ha pubblicato la plaquette Grandi Poeti (Pulcinoelefante, 2012) e Cronache Provvisorie (VJ Edizioni, 2015), ma considera come opera prima Il senso della neve (puntoacapo 2016 – Premio «Rodolfo Valentino» 2016 e Premio «Campagnola di Brugine» 2017, Premio Speciale della Giuria al Premio «Dino Campana», Finalista ai Premi «Caput Gauri» e «Gozzano», oltre a numerosi altri piazzamenti ai primi posti).