Giovani poeti: Imperatrice Bruno | L’Altrove
Vi presentiamo oggi una poetessa giovanissima: Imperatrice Bruno.
Imperatrice ha solo diciotto anni ed è campana. Lo splendore dei suoi anni si nota benissimo accostandosi alle sue poesie. La sua ultima produzione è stata pubblicata da Aletti Editore in una raccolta da titolo Costellazioni di emozioni (2018)
Abbiamo fatto alcune domande a Imperatrice, la quale ci ha gentilmente risposto. Vi riportiamo di seguito la nostra intervista.
Domanda d’obbligo: Cos’è per te la poesia?
Per me la poesia è la suprema forma di bellezza, il sublime che solletica l’anima, l’intangibile e astruso fine perseguibile della vita. È il minimo comun denominatore degli animi e degli intelletti umani, è la creazione che per eccellenza ha del divino in matrice umana.
Ricordi quando hai scritto la tua prima poesia?
Ho composto la mia prima poesia, se tale può essere definita, all’età di dieci anni.
Metrica e sintassi non erano parametri ben definiti né tenuti in considerazione, la musicalità data dalle rime baciate era piuttosto forzata ma il mio primario intento venne soddisfatto: mia madre si commosse leggendo parole semplici e imbevute di amore.
“I poeti sono come i bambini: quando siedono a una scrivania, non toccano terra coi piedi” scrisse Stanisław Jerzy Lec. Quali sensazioni provi quando scrivi?
Quando scrivo la sensazione che pervade il mio cuore, la mia mente e la mia fisicità è principalmente l’“abbandono”. Come se ci fosse un flusso di energia impossibile da trattenere, assolutamente da canalizzare. Spesso il “tarlo poetico” mi ruba ore preziose; non riesco a fare altro che non sia concentrami sulla sublime accezione di alcuni vocaboli, cercare il tuffo al cuore che crea la perfetta sintonia e la comprensione degli stati d’animo dei poeti, godere della malinconia colma di bellezza, speranza e consapevolezza che talvolta dà il “la” alle mie composizioni.
C’è una poesia famosa che avresti voluto scrivere tu?
Per l’amore che provo nei confronti del suo autore e per l’emozione catartica che ogni volta mi persuade leggendola: l’“Infinito”.
Credo sia il manifesto, oltre che della nostra identità, della sensibilità e della capacità poieutica umana.
Ecco, invece, alcune sue poesie:
Mi guardava
come se fosse stato la sete
e io per lui
ogni torrente d’acqua dolce,
il delta placido, la foce
venerea spuma d’Egeo.
Ma non poté bere,
la sua gola
arsa si strozzava
e io
allagavo il vuoto della sua assenza.
Piove.
Sotto gli alberi
un fiume stelle
eterne,
bocche assetate di fiori
lanterne
di strade senza orizzonti
ma ponti
da cui saltare
per vivere annegando
nella tua anima torrenziale.
Quando nel silenzio
il ritmo del tuo cuore
riecheggerà,
e il tuo respiro
sussurrerà alla mia anima,
insonni passeremo
mille notti di silenzi