Giovani poeti: Michele Capano | L’Altrove
Vi presentiamo oggi un giovane poeta: Michele Capano.
Michele ha ventun’anni, è originario di un paese nella provincia di Salerno, ma al momento studia e si occupa di volontariato a Roma. Non si definisce uno scrittore professionista, ma siamo sicure che la sua poesia vi convincerà.
Ecco la nostra intervista:
Grazie mille, Michele. Cosa ti ha spinto a scrivere in versi?
Non so dire se qualche evento specifico mi abbia spinto ad iniziare a scrivere in versi. Tornando indietro con la memoria penso che la poesia sia entrata nella mia vita all’alba, sin dall’inizio, prima sotto forma di filastrocche ascoltate e lette, rime semplici per bambini, poi durante i miei studi. Credo di aver tentato di scrivere la prima poesia in età adolescenziale, forse sedici anni, per poter esprimere in parole ciò che la confusione di quell’età non permette di cogliere: altre forme d’arte mi sono sempre apparse come troppo grandi per me, troppo esigenti. Fissare, dare una forma stabile, generare sicurezza con il rischio di immobilizzare, tutto ciò non mi appartiene. Allora la poesia è arrivata. L’esigenza di esprimermi in questo modo, rivolto a me stesso, inclinato verso un’interiorità dove ogni cosa sembra essere bellezza, è stata sempre più frequente, insopprimibile, quasi che una voce muta mi dettasse cosa scrivere. Spesso ho pensato ad un’immagine che sia in grado di delineare la mia poesia, la più adeguata potrebbe essere uno spiffero di vento che giunge ad alzare un cumulo di cenere, così permette di intravedere la brace che sotto vi si trova custodita.
Cosa ne pensi della poesia sui social? Li usi per pubblicare le tue composizioni?
Se le persone amano vivere sui social è naturale che anche la poesia, come forma di espressione umana, sia presente. La poesia certamente non perde mai il proprio valore comunicativo, tuttavia credo che nessuna poesia sia davvero scritta per tutti. I social permettono a chiunque di accedere, in linea di massima, alla lettura di un testo pubblicato e condiviso, in alcuni è possibile esprimere il proprio apprezzamento con un semplice like, in altri si può commentare. Penso che il commento rivolto da un profilo innegabilmente “artificiale”(e non per questo non reale) sia piuttosto impersonale, data la natura impersonale del social. E se la poesia è espressione della persona, nel suo snodarsi di detti e non detti, un commento, anche positivo, rivolto sul social rischierebbe di non permettere a colui che la legge di esporsi. Ogni poesia quando viene letta richiede un esercizio di compassione, chiede di esporci, di farci presenti, il più possibile, nel mondo dell’autore.
Se li uso? In questo momento no, ma non chiudo nessuna porta.
“La poesia propone e consegna praticamente la felicità quotidiana” disse Luigi Santucci. Quali sono le emozioni che provi quando scrivi? Riusciresti a descriverli?
Se per felicità si intende il godimento non posso che essere d’accordo. Non si tratta certo di una felicità tout cour, raggiunta con consapevolezza e fatica. Piuttosto, nell’attimo stesso che si scrive le dita, la mano, il cuore, la mente, la penna e tutta la realtà sembrano trovarsi in un grande godimento, ogni singola parola ne scandisce il ritmo. Non si riesce a riconoscere il momento di inizio e di fine di questo godere tanto è ineffabile.
Io non provo emozioni quando scrivo, ma scrivo quando provo emozioni.
Invece, quali sentimenti vorresti suscitare in chi legge i tuoi versi?
Nel momento in cui sento il bisogno di scrivere le parole sembrano farsi spazio sul foglio. I motivi possono essere diversi, spesso impercettibili. Nelle mie poesie semplicemente parla ciò che le ha partorite. Rileggendole ho sempre la sensazione che comunichino una speranza nascosta, una bellezza che si vuol dire, vuol parlare di se, vuol contagiare. Inizialmente le ho fatte leggere ai miei amici, ora le presento a chi vorrà leggerle: sono sicuro che ognuna di esse crescerà con chi la leggerà.
Ecco alcune sue poesie:
PESCATORE
Trebbiano le albe il malconcio pescatore
che nulla vive dei ritmi asserraglianti
degli spazzini di denaro.
Vite chiuse in cifre e piani,
di sporadiche fughe
di follosi stereotipi
tentano di riempire i vuoti.
Muto annuncio metropolitano di fine, prossima.
E il pescatore vive mesto
a ridosso della terra;
in ciò che ne trae, eterno nel mare,
celebrato dai morti
per un nocciolo di vita mal pagato.
Lui, chino e ruggente,
a vangate di braccia dissoda il mare,
incosciente pastore dell’essere.
DURA FATICA
È una fredda sera d’inverno
e i mie occhi, come radici, affannate
a districarsi tra terra
custodita da brecce,
si frantumano
in piccole fessure di pioggia.
Sembra annunciare sazietà
a me, vuoto di ogni avvertimento,
non disperato a sentirmi un giusto.
Perché avanti non mi inclina il senso del futuro?
Il passato è zolla, sta alla base.
Ma il presente,
affannoso concime per ogni istante.
È la mia destinazione
sentirmi contadino in ogni situazione,
e mi affanno, sbuffo,
rimescolo la cicca nella pozzanghera.
Benedico il momento in cui la raccoglierò.
MIELE
Bellezza
ci nutri anzitempo
di porfide gocce di note,
stillate dal giallo paglierino
del corpo che rinvigorito
è talamo dell’eterno.
Tu diritto universale,
boa dell’indecisione,
Àncora dell’Amore.
Ritta distendi il tuo aroma salmastro
educhi chi in te inciampa.
Dove trovarti?