Poesie ritrovate

Poesie ritrovate: Lalla Romano | L’Altrove

Lalla Romano è una delle figure più significative del Novecento letterario italiano. L’autrice, nota soprattutto per i suoi lavori in prosa, esordì tuttavia con una raccolta poetica, e lei stessa definì il suo intero lavoro letterario «un cammino dalla poesia alla prosa»: l’esperienza poetica lasciò un’impronta chiaramente ravvisabile nei suoi libri di narrativa a causa del prevalere in essi, o nella maggior parte di essi, di alcuni elementi tipicamente lirici. Montale diceva che esistono libri in prosa che sono di poesia, e libri scritti in versi che sono prosa. Questo pensiero è significativo per comprendere l’intero lavoro letterario della scrittrice, che anche nella narrativa non smise mai di essere poetessa. La scrittura poetica non deve essere necessariamente in versi, e lei utilizzò il linguaggio della poesia anche per scrivere le sue opere in prosa. Affermò ella stessa severamente: «Se uno non è dotato di sensibilità – intellettuale e sensuale – per la poesia, è meglio che non legga i miei libri. Lo deluderebbero.»

Lalla Romano nacque nel 1906 a Demonte, in provincia di Cuneo, da una famiglia benestante di antiche origini piemontesi, nonché di tradizioni intellettuali (ebbe come prozio l’illustre matematico Giuseppe Peano). Fin dai primissimi anni visse in un clima particolarmente incline alle sollecitazioni culturali: il padre coltivava la musica e la pittura e anche la madre era una donna molto sensibile e intelligente. Il fervore culturale familiare stimolò fin dall’infanzia la futura scrittrice. Si trasferì a Cuneo per frequentare il liceo e in seguito a Torino per frequentare la Facoltà di Lettere, dove strinse amicizia con Cesare Pavese. Durante gli anni universitari cominciò per la Romano un periodo di intenso fervore intellettuale in cui si consolidarono i suoi interessi letterari e culturali. Due professori influirono profondamente sulla sua formazione: Ferdinando Neri per quanto riguarda le materie letterarie e la poesia in particolare, e Lionello Venturi per la pittura. Lalla ebbe infatti una fervida attività di pittrice e fu allieva di prestigiosi maestri, come Felice Casorati. Si laureò a pieni voti nel 1928 e, dopo un periodo di insegnamento a Cuneo e il matrimonio con Innocenzo Monti, si stabilisce a Torino con il marito e il figlio, continuando a dedicarsi alla pittura e all’attività letteraria.

Lalla Romano poesie

Nel ’35 ebbe occasione di conoscere Montale che giudicò in maniera lusinghiera le sue poesie. Decise allora di raccogliere i componimenti in un volume e di pubblicarli presso l’editore Frassinelli, dopo il rifiuto dell’Einaudi: escì nel 1941 la raccolta Fiore, suo esordio letterario. Ne regalò una copia a Giulio Einaudi, con la tagliente dedica: «A chi non ha voluto stampare questo libro». Nacque così la loro amicizia, Einaudi divenne suo editore e lo fu per tutta la vita.
Nei versi giovanili di Fiore è molto forte l’influenza dei lirici greci e latini e altre letture di giovinezza, come i poeti metafisici inglesi, gli stilnovisti e i poeti simbolisti francesi. Si tratta prevalentemente di poesie d’amore, dove il sentimento prevarica spesso sull’espressione, ma dove si avverte già un forte desiderio di pervenire al rigore stilistico che caratterizzerà poi tutto il suo lavoro in prosa. Inoltre l’esperienza pittorica influì fortemente nella stesura delle poesie giovanili, dominate della forte presenza di immagini visive e cromatiche.

Amore

Se negli occhi mi guardi, non ascolto
le tue parole;
altre parole dicono i tuoi occhi,
anzi una sola:
la più dolce, la sola che intendo.
Ma pur la temo:
ché se poi taci, ancor chieggo parole.

Il richiamo

Nasce dalla mia pena questo canto
che sale nel meriggio sonnolento
più accorato di un pianto?

Io tenevo segreto il mio pianto,
e ritorna più vasto e più lento.

S’è mutata in aperto lamento
la gelosa amarezza del pianto:

e il richiamo profondo vi sento,
che risponde nel muto mio pianto.

Distacco

Soffre il fiore strappato dal cespo?
Forse dolgono i gambi recisi,
più non guarda beata nel sole,
stanca piega la bella corona.

Ed a me non è ignoto quel male;
anch’io so come duole ogni vena,
quando i polsi tremanti ho staccato
che il tuo collo cingevano, amato.

Lalla Romano – Autoritratto severo – 1940

Dopo la pubblicazione della prima raccolta, la poesia sembra quasi diventare per la scrittrice un interesse laterale e sporadico, tant’è che tra la pubblicazione della prima silloge e la seconda lascia passare ben quattordici anni. L’Autunno fu infatti pubblicato nel 1955, dopo la prosa poetica de Le Metamorfosi (1951) e il suo primo romanzo Maria (1953). L’Autunno, in cui il ciclo delle stagioni converge verso un autunno che è anche distacco ed esaurimento di esperienza, segna un passo decisivo rispetto a Fiore. Non si avvertono più le ingenuità delle prime poesie, il linguaggio si fa più maturo e tendono a scomparire le suggestioni e influenze da varie letture. Il tema più ricorrente è ancora l’amore, però sempre filtrato attraverso scorci paesaggistici o mediato da immagini del mondo naturale che spogliano sentimenti e stati d’animo da qualsiasi residuo di leziosità, obiettivandosi in visioni, suoni, colori e modi d’essere della realtà. Prevalgono gli accenti dolorosi che spostano il discorso sul tema del tempo come dimensione inafferrabile, come principio e fine di tutte le cose. Ma sempre senza abbandoni nostalgici troppo scoperti, senza eccessive cadute in un facile lirismo: solo un sottile velo di amarezza che nasce da una consapevole accettazione del dolore. I componimenti sono contraddistinti da un netto rigore formale, da una equilibrata nitidezza di espressione e una «compostezza e pulizia della voce», come scrisse Carlo Bo nella premessa al volumetto.

L’Estate

Già impallidivano i grani.
Ferma era la mente
rappresa sotto l’inverno.
Dei papaveri fatui
già era acceso il delirio.

L’Autunno

Come una miniera inesplorata
giace il favoloso tesoro
del tempo;
e i pingui soli d’autunno
rigurgitano come forzieri
di gioie non possedute.
Le stagioni come la musica
propongono temi inesausti.
Sazi i giorni defunti
lasciano un’eredità intatta
che non possiamo dilapidare.

L’ultima silloge della Romano, Giovane è il tempo, apparve inattesa nel 1974, quando la scrittrice era quasi settantenne e aveva già pubblicato altri quattro romanzi, tra cui il famoso Le parole tra noi leggere, che vinse il Premio Strega nel 1969. Giovane è il tempo appare la sintesi, formalmente rielaborata, di tutta la sua poesia: la vicenda si fa ormai memoria, prevalgono riflessioni e illuminazioni sul senso della vita, con tratti escatologici. La raccolta è strutturata come una composizione musicale in cinque tempi, ognuno indicato da un verso o immagine estrapolati da un momento significativo e culminante: I flauti acerbi, Il caro odore del corpo, La bocca arida, Giovane è il tempo, Da una ruvida mano. Il linguaggio di Giovane è il tempo, rispetto a quello delle precedenti raccolte, diventa più sobrio, composto e concentrato; scompaiono punteggiatura e titoli ai componimenti, dal punto di vista verbale l’uso dei perfetti e degli imperfetti viene sostituito da quello del presente. Le strutture poetiche complesse vengono abbandonate a favore del breve respiro del frammento che misura i singoli componimenti, interrotto solo da un sapiente uso della spaziatura che fornisce il senso poetico delle pause e del silenzio. Giovane è il tempo costituisce un approdo definitivo, per questo nessun’altra raccolta poetica è seguita, anche se di poesie ne sono ancora state scritte e se ne trovano frammenti nei romanzi. La struttura in cinque parti dell’opera asseconda una vicenda che sopravvive solo come memoria poetica: la natura; l’amore come scoperta dei sensi; le vicissitudini dell’amore, il distacco, la fine e il pensiero della morte; di nuovo la natura riscoperta dopo tanti turbamenti; infine riflessioni e illuminazioni sul senso della vita, sul destino degli umani.

Ecco alcune poesie tratte dalle sue celebri raccolte:

Da I flauti acerbi:

Sul declino d’inverno
hanno le rame spoglie ancor le piante
e già, dolci, negli orti
s’odono degli uccelli i flauti acerbi


Da Il caro odore del corpo:

Io sono in te
come il caro odore del corpo
come l’umore dell’occhio
e la dolce saliva

Io sono dentro di te
nel misterioso modo
che la vita è disciolta nel sangue
e mescolata al respiro


Da La bocca arida:

Come il ladro deluso
dal possesso del bene non suo
come l’avaro
a cui fu rubato il suo bene
la bocca arida, guardo
il vuoto della tua partenza


Un tempo amore
mi conduceva per mano
era un bambino felice
voglioso di giochi, di gridi

Ma ora come un figlio non nato
nel mio grembo lo porto
perciò senza grazia cammino
e pallida è la mia faccia


Da Giovane è il tempo:

Giovane è il tempo

Come un fanciullo
cade ogni sera addormentato e stanco
e noi vediamo illanguidire il cielo
lontano, dietro cupi archi di foglie

Si ridesta felice
mentre intatto
sugli assorti giardini e sulle ville
emerge dalle nere ombre il mattino


Da Da una ruvida mano:

Fede non è sapere
che l’altro esiste
è vivere
dentro di lui
calore
nelle sue vene
sogno
nei suoi pensieri

Qui aggirarsi dormendo
in lui destarsi


Musiche nascono e muoiono
sono ancora parole
soli ardono si spengono
sono ancora tempo

Solamente il silenzio
oltre il gelo dei mondi
oltre il solitario passo dei vecchi
oltre il sonno dimenticato dei morti

solo il silenzio vive

Articolo a cura di @laideanfossi

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Bibliografia:

Lalla Romano, Poesie, a cura di Cesare Segre. Giulio Einaudi Editore, Torino, 2001

Lalla Romano, Giovane è il tempo. Giulio Einaudi Editore, Torino, 1974

Fiora Vincenti, Lalla Romano, numero 94 de Il Castoro, mensile diretto da Franco Mollia. La Nuova Italia, Firenze, ottobre 1974

Rai 5, L’altro Novecento con Lalla Romano. Un ritratto della scrittrice Lalla Romano nei suoi luoghi attraverso le voci di Giulio Ferroni, Paolo di Paolo, Antonio Ria. Un programma di Isabella Donfrancesco e Alessandra Urbani, produttore esecutivo Annalisa Proietti. Letture di Daria Deflorian. Regia di Roberto Giannelli.

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