Recensione: “Per te soltanto bambino” di Filippo Parodi | L’Altrove
La raccolta di Filippo Parodi, Per te soltanto, bambino (Polimnia Digital Edition, 2018), ruota intorno ad un binomio dai tratti foschi e limpidi: l’io e il bambino. L’io e il bambino si guardano, si toccano, si allontanano, si scelgono. Quello di Parodi è un percorso di rinascita che si dispiega per tappe successive – pazienti e tormentate – tra le pieghe di parole meditate che non risparmiano nulla, snocciolando ogni emozione tra i versi di una poesia criptica, anello di congiunzione tra un ‘io’ lacerato e il proprio bambino interiore che lotta per riemergere:
È nella scrittura che dico di incontrarti.
Però non sai parole, soltanto recepisci
il caldo oppure il freddo,
l’angoscia e poi il sollievo.
Mi annegheresti tutto nel mio sangue d’alfabeto.
Tratto evidente di questa silloge è la carica percettiva che accompagna la trascrizione degli eventi reali e psicologici popolati da “personaggi” reinterpretati in chiave metaforica; ne risulta un’atmosfera intessuta d’incanto e magia:
Ti disegno
sotto gli occhi-oggi-colline della Maga:
carta che si è accesa,
gli ovattati ruderi.
Rosso e arancione ti colmano la forma
di suoni rattrappita,
lì,
di me non sai ancora.
La Maga oggi spumeggia.
Si congratula con me?
Insiste:
ho compiuto un notevole lavoro
dal nostro primo incontro. Le caviglie,
a dirne una, ho smesso di avvitarle.
E tu negli occhi giochi.
Questa silloge è un viaggio alla riscoperta della propria interiorità, un inno all’importanza di riscoprirsi vivi.
E poi ci sono anche
mattine in cui mi alzo
e già sono per strada,
il corpo che obbedisce,
leale,
quasi inedito
l’esistere nei passi.
L’immensità del cielo
finalmente
non rimbomba.
Allora io percorro irreparabile candore.
La lieta debolezza
di contorni mi scagiona e
continuo a camminare,
sculetta il sole ricco.
Ti sei spostato altrove.
O forse ti perdono.
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Recensione a cura di Irene Belfiore