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Recensione: "In che luce cadranno" di Gabriele Galloni | L'Altrove

Esistono domande che perdurano nell’uomo che mai la scienza potrà spiegare fino in fondo. Possiamo scoprire come finisce lo spettacolo delle persone che ci stanno accanto, apprenderne il motivo e prevenirlo con tutti gli strumenti esistenti e sebbene questo per molti sia già una risposta, non lo è per tutto il resto.
Ma cosa resta nella mente di chi viene abbandonato dai morti? Ecco che in questo caso ci sovviene in aiuto la Poesia, il poeta apre il suo stradario per condurre il lettore nella sua esperienza che va oltre la teoria e la sperimentazione, oltre lo standard comune al quale siamo abituati a confrontarci, il poeta ci ricorda che il dolore è personale e non ha parametri di riferimento adatti a tutti indistintamente. Ed ecco un lampo di umanità straordinaria: sentirsi accarezzare da un verso, apprendere che non per forza esiste una veloce cura al dolore ma che esiste anche la strada del pensiero e un verso che prepotente si fa spazio a nuove consapevolezze.
Rimane, nella mente del lettore, una presa di coscienza nuova: siamo osservati dai nostri morti, e sebbene queste poesie raffigurino paesaggi cupi, tetri ed incolore, loro sono lì: I morti rientreranno nudi nelle/loro città. Li vestiremo appena/quel tanto a bastare che il freddo/non li atterrisca. /Ci diranno zero./
Si avverte come i morti restino accanto a noi muti, senza memoria e inevitabilmente perduti.
Per Gabriele Galloni, chi non c’è più è “l’ultima didascalia del mondo conosciuto”.
In che luce cadranno“, la raccolta edita per RP Libri, è un interrogativo al quale Galloni risponde a suo modo ma è anche un varco utile da oltrepassare per interrogarsi, per entrare nella visione post mortem immaginata dal poeta che, con la delicatezza della Poesia, ci fa percepire quanto i morti siano vicini a noi e umani in egual modo quindi fragili, goffi e perduti.
In che luce cadranno del poeta Gabriele Galloni
Quindi, in che luce cadranno i nostri morti e tutto ciò che perisce? Non sono forse i morti il nostro stesso specchio?
Ecco un breve estratto dalla silloge:
I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci
con una mano – e l’altra all’Invisibile.


Ci basterebbe credere a una riva;
a una luce che vada scomparendo
dietro gli scogli; o che un morto riviva,
che si perda tornando.


I morti guardano alla luna come
un errore, uno sgarbo del creato;
pensano infatti che sia cosa messa
lì per illuderli (non percorribile).
L’imitazione di un antico sesso
senza ingresso né uscita né sala
d’attesa.
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