Giovani Poeti: Edoardo Nicola Ghio
Siamo molto felici di farvi leggere le poesie di un altro giovane poeta.
Lui è Edoardo Nicola Ghio, ventitreenne torinese.
Leggere le poesie di Edoardo significa ritrovarsi a fare i conti con un climax ascendente di sentimenti. La poesia incontra versi delicati e altri invece decisamente più audaci.
Ve lo presentiamo con questa breve intervista.
Anzitutto ti ringraziamo. Com’è nata la tua passione per la poesia? Ricordi il tuo primo verso?
La mia passione per la poesia è nata tra i banchi di scuola, non ricordo il momento esatto, è stato un approccio graduale ed inconsapevole. In maniera del tutto naturale.
Khalil Gibran scrisse: “La poesia è il salvagente/cui mi aggrappoquando tutto sembra svanire.” Cos’è, per te, la poesia?
È il salvagente a cui non riesco ad aggrapparmi quando scrivo. È uno sfogo, una dicitura d’appiglio per estranei. Ciò che scrivo mi confonde, mi destabilizza. Per chi legge, invece, è diverso. È sicuramente più immediato e costante nel tempo. Per questo motivo ho imparato a nascondere un paio di braccioli nella felpa che indosso.
La tua poesia “Feticismo poetico” si avvicina alla scelta poetica di Patrizia Valduga di usare l’erotismo. Se, nel suo caso, si tratta di una poesia più spinta, la tua è più sottile. Come percepisci l’erotismo in poesia e come lo vivi?
La poesia è erotismo, come una spugna di mirtilli di cui non si concepiscono i contorni. Ne si è succubi come piedi di un rosso movimento all’interno di lenzuola mature di esperienze. È necessario viverlo di pancia, non se ne può fare a meno.
Cosa ti aspetti dalla poesia? Cosa cerchi tra i versi?
Cerco l’ironia dei sentimenti, le forme brevi e semplici. Cerco l’immediatezza della riflessione, la capacità di farti comprendere un concetto e perderlo nell’istante appena successivo: si è felici nel momento in cui si comprende di essere tristi e sentendosi fortunati nel riuscire a farlo, continuando, però, ad essere tristi.
C’è una poesia nota che senti particolarmente tua?
Sono sempre stato affascinato ed incuriosito dalle parole di Rimbaud, dal suo sperimentare suoni differenti, dalle innovazioni mature di un giovane diciassettenne precursore del suo tempo. Non ho una poesia in particolare, ma sicuramente è lui il poeta a me più vicino.
Ecco i suoi versi:
Islanda
Aspiro ghiaccio
dai polmoni lividi
fumo nebbia
per poi sentirti
Ho lo zaino in spalle
e non ho le palle per capirti
voglio scappare
per finire e finirmi
Tirami su
Aveva una bella espressione
sicuramente non triste
chiudeva gli occhi quasi a volersi proteggere
nascondersi
quando lei era la prima a spiarmi
portava un paio di scarpe anni settanta
tutte sporche in punta
la stringa le cadeva a lato
ma lei era troppo immersa nel suo mondo
fatto di stringhe pendenti colori secondari e casualità
Un maglioncino che tirava fino a strappare ogni singolo filamento
stringeva una tazza di caffè fumante
le ginocchia al petto
e due cucchiaini nel lavandino
Rideva da solo ogni tanto
poi si fermava
poi riprendeva
cosa ridi?
lei continuava
ridevo anch’io
C’è quella mostra sai?
quella in cui tutto è incasinato?
sì, come fai a saperlo?
te l’ho letto negli occhi
andiamo?
andiamo
aspetta, prima devo ballare
Feticismo poetico
Mi fanno sesso le tue sillabe sprofonderei nel rosso
ansimi di frenesia
tra vocali seminude
Sfioro la tua silloge
odo l’assonanza empirica
in un letto di metafore fuorvianti
masturbo violentemente l’intelletto
mi tocco, puoi giurarci
immerso in versi endecasillabi
penetro e fuoriesco
dal tuo flusso di potenza
Uniti in un solo corpo
una crasi di vergogna
tra l’inchiostro del privato
vengo sul tuo foglio nudo
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