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Le migliori poesie di Emily Dickinson sulla natura | L’Altrove

Oggi vi presentiamo una selezione di poesie sulla natura dell’intensa ed anticonvenzionale poetessa statunitense Emily Dickinson.
Per il critico letterario Beniamino Placido “La Dickinson è una poetessa dura, aspra, essenziale. Fatta di pietra e di quarzo. Non si fa illusioni. Non ne autorizza. Non crede nel paradiso in terra, non le piace (“I don’t like Paradise”).”

 

[668]
‘Natura’ è tutto ciò che noi vediamo:
il colle, il pomeriggio, lo scoiattolo,
l’eclissi, il calabrone.
O meglio, la natura è il paradiso.
Natura è tutto ciò che noi udiamo:
il bobolink, il mare, il tuono, il grillo.
O meglio, la natura è armonia.
Natura è tutto quello che sappiamo
senza avere la capacità di dirlo,
tanto impotente è la nostra sapienza
a confronto della sua semplicità.

 

[318]
Vi parlerò di come sorse il sole –
un lembo dopo l’altro.
Nel viola erano immersi i campanili –
l’annuncio corse come uno scoiattolo –
le colline si tolsero la cuffia –
iniziarono a cantare i bobolink.
Allora io mi dissi piano piano:
‘di certo è stato il sole!’
Ma come tramontò, non lo so dire.
Sembrava che ci fosse una scaletta
purpurea per andare oltre la siepe –
e che gialli bambini, maschi e femmine,
salissero, finché, dall’altra parte,
un Pastore vestito tutto in grigio
alzò piano le sbarre della sera –
e condusse piano la brigata.

 
[333]
L’erba ha così poche occupazioni –
un mondo di semplice verde
con solo farfalle su cui meditare
e api da ospitare –
non ha da fare altro che cullarsi
tutto il giorno ai suoni melodiosi
che le brezze portano leggere –
e accogliere in grembo la luce –
e inchinarsi ad ogni cosa –
e infilare le gocce di rugiada
come perle, per tutta la notte –
e diventare così raffinata
che una duchessa invano attenderebbe
da lei un invito, un saluto, un’attenzione.
E quando muore, non fa che trapassare
in odori divini –
come umili spezie addormentate
o nardi che si spengono –
per poi finire in supremi fienili
e sognare tutti i giorni.
L’erba ha così poche occupazioni –
mi piacerebbe tanto essere fieno.

 

[595]
Bruciava il rosso alla base degli alberi,
intenso come le luci di scena –
mostrando ad essi, lontano, lontano,
il teatro del giorno.

Ed era l’universo che applaudiva –
mentre eminente nel mezzo della folla
dall’abito regale che indossava
io distinguevo Dio

 
[34]
Ghirlande per le regine, forse.
Alloro per chi eccelle
con l’anima o la spada.
Ah, ma ricordandosi di te,
la natura – nella sua cortesia –
la natura – nella sua benevolenza –
la natura – nella sua equità –
consacrò la rosa!

 

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