Intervista a Francesco Guazzo, poeta per vocazione | L’Altrove
Più di venti premi vinti negli ultimi tre anni, una vocazione per la poesia esplosa al liceo, lui è Francesco Guazzo, diciannovenne di Bassano del Grappa.
La poesia di Francesco porta in sé una straordinaria potenza. Avvicinandosi ad essa non possiamo che rimanerne incantati e quasi stupiti. Francesco ha solo diciannove anni, eppure è come se avesse sulle spalle tutta la storia della poesia italiana. Ma di questo lui non se ne vanta, ha un’umiltà sorprendente. Abbiamo bisogno di poeti come Guazzo, artigiani della parola, poeti che sentono propria la responsabilità nello scrivere in versi.
Alla potenza si aggiunge anche una notevole umanità, i versi scritti dal giovane poeta sono privi di fronzoli, schietti e umani. La raccolta 13 ne è un esempio. È con questa che nel 2016 ha vinto il prestigioso Premio Poesia Città di Fiumicino per la migliore raccolta inedita. Queste tredici poesie hanno una completezza magistrale.
Abbiamo fatto alcune domande a Francesco Guazzo, così da conoscerlo meglio.
Ciao, Francesco. Come è nata la tua passione per la poesia?
Sinceramente non ho ricordi di un inizio esatto. Pretendere di averne memoria sarebbe come chiedermi di tornare con la mente a quando sono nato: il vuoto più totale… Di certo, però, sento e so che ci sono, e, in più, mi fido di ciò che gli altri mi raccontano in merito. Per la poesia è lo stesso.
C’è una poesia che porti sempre con te?
Non ho una poesia che porto sempre con me, o forse potrei dire che ne ho molte, tutte addirittura, ovviamente solo grazie agli strumenti che oggi abbiamo, ma devo ammettere che questo quiescenza della poesia all’interno della rete, in attesa di essere estratta e vivisezionata, un po’ mi inquieta.
Inoltre è anche vero che ho sempre pensato di vivere dove sono i miei libri, quindi più che io a portare poesie, penso siano loro a portare me, a farmi stare anche dove non ci sono.
La Merini scrisse: “Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita”. Sei d’accordo?
Non ho grande stima della Merini come poetessa, e ritengo che non manchi molto alla sua scomparsa, anche se in parte si potrebbe dire che questa frase ha una sua verità. Personalmente ho sempre fatto fatica a sottostare a costrizioni ed obblighi, però di certo questo sono io e forse solo io. Non amo le generalizzazioni: per quanto mi riguarda, io resto in me stesso.
Hai dei progetti per il futuro?
Pianificazioni pratiche e concrete non ne faccio, spero soltanto di riuscire ad aderire alla verità di ciò che sento diventando ancora più pienamente ciò che sono.
Ecco alcune poesie tratte proprio da 13
Mi piace pensare al gioco
immobile,
sul centro della scacchiera,
al momento esatto della resa,
i giocatori incapaci di attesa,
e io, a fissare la partita,
senza ruolo
Avevo dimenticato
la mia casa di danze,
sull’acero campestre,
e ora che torno
a visitare quelle stanze,
senza giri di serratura,
mi lascio allo stupore di te:
petalo bianco, che eri
fiore
Mi chiedono – dove sei –
e io dico le cose – dappertutto –
nella fila di luci, sulla sinistra,
poi, sul bicchiere, quando
lo indico, con tutte le dita della mano,
ma anche negli occhi di Anna,
che mi guarda
– dove sei –
mi chiedono,
e io sto senza custodi per la domanda,
a seguirti veloce con lo sguardo,
tuttavia più generica,
e senza posa
Quando l’orologio mi tiene salda
la mano, sento la compagnia del vuoto,
e il bottone sulla metà del cappotto
mi stringe all’abbraccio del vento