
“Una chiara confusione”: Leonetta Bentivoglio su Patrizia Cavalli | L’Altrove
Patrizia Cavalli, una delle voci poetiche più iconiche della letteratura italiana contemporanea, ha saputo costruire un universo poetico che oscilla tra intimità personale e universalità umana. Leonetta Bentivoglio, nel suo saggio omaggio alla poeta intitolato Una chiara confusione, e in uscita il 26 marzo per le Edizioni Clichy, ci invita a immergerci in un viaggio tra le profondità emotive e intellettuali della Cavalli. Il testo di Bentivoglio si presenta non solo come una celebrazione postuma della poeta, ma anche come un’analisi accademica di straordinaria profondità, che illumina il ruolo della Cavalli nel panorama culturale italiano e internazionale.
Il libro di Leonetta Bentivoglio rappresenta una delle interpretazioni più sofisticate e attente della poetica di Patrizia Cavalli. La Cavalli è celebre per la sua capacità di rendere la quotidianità universale e il personale collettivo, attraverso un linguaggio poetico diretto e privo di ornamenti eccessivi. Bentivoglio analizza con acume il rapporto di Cavalli con il linguaggio, la musicalità del verso e la tensione fra il bisogno di esprimere emozioni profonde e la consapevolezza della loro limitatezza comunicativa.
Leonetta Bentivoglio dipinge la Cavalli come un’anima vitale e complessa, in grado di coniugare depressione esistenziale e una curiosità insaziabile verso il mondo. La poeta ha vissuto la sua esistenza con una tensione continua verso l’irraggiungibile perfezione, che si riflette nel suo rigoroso approccio alla creazione poetica. Il ritratto umano di Cavalli rivela una donna che abbracciava la vita con intensità e che osservava il mondo con uno sguardo acuto e penetrante. Patrizia ha coltivato una forma di poesia accessibile, anti-ermetica e anti-elitaria, caratterizzata da un linguaggio apparentemente semplice ma pregno di significato. Bentivoglio ne analizza la meticolosa attenzione alla concretezza del linguaggio, che permette alla poeta di trasformare il quotidiano in un’esperienza universale.
L’autrice non si limita a descrivere la poesia di Patrizia Cavalli, ma la interroga, la decostruisce e la contesta dove necessario. Il suo approccio si basa su una metodologia che unisce la critica letteraria alla sensibilità emozionale, rendendo l’analisi accessibile e multidimensionale. L’autrice mette in luce la radicale modernità di Cavalli, una poeta che sfida gli schemi tradizionali, preferendo un tono colloquiale e quotidiano che permette al lettore di entrare in un intimo dialogo con il testo. La Cavalli evita, infatti, l’enfasi lirica e si concentra sull’essenziale, utilizzando spesso brevi composizioni capaci di esprimere intensità emotiva e filosofica con straordinaria efficacia.
Oltre all’analisi della sua opera poetica, la giornalista ci parla di Patrizia come una figura dalla presenza magnetica, nota per la sua intensa vitalità e la sua consapevolezza della caducità della vita. L’autrice narra aneddoti personali che rivelano il carattere stravagante, eccentrico ma anche profondamente umano di Cavalli, capace di vivere tra depressione e vitalità, creando un contrasto poetico che emerge anche nei suoi versi. L’autrice enfatizza l’ossessione di Cavalli per la perfezione, evidente sia nella sua vita quotidiana (come la preparazione meticolosa di dolci) che nella poesia. Patrizia è descritta come un’osservatrice unica, sensibile alle sfumature del mondo attorno a lei, e come un’anima al tempo stesso instancabile e introversa.
Leonetta Bentivoglio conclude il suo tributo sottolineando l’importanza della Cavalli come figura intellettuale capace di parlare direttamente al cuore dell’esperienza umana. La poeta ci lascia con un’eredità che non si limita a rappresentare la bellezza, ma che ci invita a riflettere sulla complessità della vita attraverso una “chiarezza confusa”. Le sue poesie continuano a ispirare generazioni, offrendo strumenti per confrontarsi con le ambiguità e i paradossi dell’esistenza.
In occasione della pubblicazione di Una chiara confusione, abbiamo avuto il piacere di incontrare Leonetta Bentivoglio. Ecco la nostra intervista:
Qual è stata la sfida più grande nel raccontare la complessità e l’unicità di Patrizia Cavalli attraverso il suo libro?
Non ho scritto questo libro per “raccontare” la poesia di Cavalli. Sono convinta che la grande poesia, e quella di Patrizia lo è, sappia suggeririci spunti, sensazioni, associazioni e idee che sono esprimibili solo tramite la poesia, la quale non può essere messa in prosa, sennò sarebbe prosa. La poesia non va spiegata. C’è. Nel libro io, con le mie visioni sui suoi versi, ho voluto semplicemente propormi come un’esca, uno strumento che potrebbe, spero, far scattare in qualche lettore il desiderio di introdursi nel mondo poetico ricchissimo e autosufficiente di Patrizia Cavalli. Una volta che ci si sta dentro, sa spiegarsi bene da solo. Non ha alcun bisogno di intermediari e traduttori. Avendo in mente quest’obiettivo – rendere omaggio al suo spessore spingendo chi non conosce le sue poesie ad affrontarle in prima persona – ho impostato una struttura che non è biografica né filologica, bensì libera e personale. È un po’ come se cercassi, credo, di stabilire un dialogo tra me e la poesia di Cavalli. Per questo in certi passaggi del testo mi sono “esposta”: non ho mai adottato schemi critici o analitici, ma mi sono permessa di parlare di me, e del perché il lavoro di Patrizia mi risuona tanto dentro. Il percorso non è cronologico, bensì tematico. Ho suddiviso l’esposizione in capitoli dedicati a temi molto presenti nella poesia di Patrizia, come l’amore, il tempo, il corpo… Sono andata in cerca di Leitmotive. Figure ritornanti. È stato un cammino bellissimo, durante il quale la solidità “architettonica” della poesia di Patrizia mi ha sorretta.
In che modo il titolo, “Una chiara confusione”, riflette l’essenza sia della poesia di Cavalli che della sua personalità?
Ho preso quelle parole da una poesia di Patrizia Cavalli. Mi sembra un buon titolo, che può dire molto sulla natura e la sostanza dei suoi componimenti poetici. Come ho scritto nel libro, la poeta ha la possibilità di entrare in contatto con una zona dell’essere nitida, pura e appunto “chiara”, malgrado la molteplicità macchiata e affastellata dell’insieme che ci circonda. Cavalli assorbe, e ci restituisce a suo modo, le meraviglie dell’esistere (la sua ultima raccolta di poesie si chiama “Vita meravigliosa”), anche all’interno di quel caos della realtà che per noi risulta spesso indecifrabile. Il suo sguardo poetico registra con onestà e coraggio la limpidezza della confusione che deriva dallo stare immersi negli abbagli e nelle violenze di questo nostro mondo difficilissimo da comprendere.
C’è un evento o una conversazione specifica che ha segnato il suo percorso nella scrittura di questo libro?
Come riferisco nel testo, ho conosciuto e frequentato Patrizia per alcuni anni, e la sua amicizia mi ha dato moltissimo. Ma ho provato a distinguere l’esperienza della mia frequentazione di Patrizia dal mio rapporto con la sua poesia. Cavalli, soprattutto dopo la sua morte, è diventata un “personaggio”. Io non narro il personaggio, né faccio alcuna aneddotica. Questa non è una biografia. Io cerco in me i motivi della gioia che mi dà la lettura della poesia di Patrizia Cavalli, in una prospettiva così sincera che spero di trasmetterla al lettore, per stimolarlo a incontrare la mia stessa gioia confrontandosi a sua volta con la poesia di quest’autrice. Nella poesia di Cavalli non c’è mai alcun infingimento né la minima retorica. È immune da artifici. È pura vita. Se riesco a comunicare questa sua speciale qualità, ho raggiunto il mio scopo.
Come descriverebbe l’equilibrio tra ironia e profondità che caratterizza la poesia di Cavalli?
L’ironia è la chiave della sua immensa serietà. Senza sorriso non si può andare avanti. La tragedia ha bisogno della commedia, e viceversa. Trovo i paletti fra i generi dannosi e mefitici. La massima virtù della poesia di Cavalli, secondo me, sta appunto nella sua vitalità, come dicevo prima. È il suo legame appassionato con la vita. Anche con le piccolezze cruciali della quotidianità. Non si può decantare la vita senza ironia e senza profondità.
Secondo Lei, quale eredità lascia Patrizia Cavalli nel panorama della poesia contemporanea?
Patrizia è fuori norma. Non appartiene a scuole o a tendenze. Non c’è alcun bisogno di etichettarla. Credo che la sua sia fondamentalmente una lezione di libertà. Il poetare di Patrizia, certo, ha tenuto conto di alcuni grandi classici della poesia del passato, ma senza farsi condizionare. È un fenomeno unico, a sé stante, che brilla di luce propria, e può indicare una via di affrancamento totale dalla maschere, dagli infingimenti, dalle preoccupazioni stilistiche e dai toni saccenti. Secondo me la sua eredità consiste nell’indicarci una semplicità profonda e necessaria. Tutto in lei è toccante e diretto.
Qual è stata la spinta iniziale che l’ha portata a dedicarsi al giornalismo culturale e alla critica artistica?
Scrivo da mezzo secolo ed è stato tutto spontaneo. Fin da giovanissima, mi sono trovata a fare con felicità questo mio lavoro. Non ci ho ragionato sopra. Non ho avuto il minimo tormento nelle mie scelte. Mi ha sempre attratto l’arte in ogni forma, penso anche grazie all’educazione ricevuta da mia madre, Mirella Bentivoglio, che è stata una grande artista visiva. Amo il teatro, la musica e la letteratura. Non posso farne a meno. Mi è piaciuto sempre scrivere, fin da bambina, e mi sento costantemente protetta dalla scrittura, che fa parte della mia identità, così come l’amore per la lettura e per lo spettacolo in tutte le sue espressioni. Sono stata fortunata perché non ho mai avuto dubbi riguardo a questo. Credo che quando si è genuinamente interessati al proprio lavoro, e lo si percepisce come parte di sé, il lavoro arrivi a premiarci sempre.
Quali sono i cambiamenti principali che ha notato nel panorama culturale italiano durante la sua carriera?
Parlare del panorama culturale generale comporterebbe un discorso troppo lungo e complesso. Posso limitarmi a parlare dei forti mutamenti che si sono verificati nel giornalismo culturale. L’avvento dell’online ha portato modifiche stilistiche sostanziali, non sempre negative. Bisogna imparare ad essere più essenziali, concreti e immediati. La cosiddetta “critica” dello spettacolo, che era molto importante e influente durante la mia giovinezza, oggi è praticamente morta. Non si fa più. Il giornalismo culturale, adesso, si affida prevalentemente alle anticipazioni e alle interviste. Gli eventi vanno presentati, e non commentati o recensiti. In passato i critici, soprattutto nel teatro e nella musica, avevano un potere indecente, che incideva troppo sui destini degli artisti. Secondo me il giornalista culturale odierno, più che criticare e pontificare, deve fornire delle chiavi d’ascolto e di lettura, in tutti i campi. Deve aprire dei canali per i suoi lettori. Poi ogni fruitore giudicherà da solo.

