Estratti ed Inediti

Estratto da “I figli del Caos” di Giuseppe D’Abramo | L’Altrove

Nel sughero di questi anni alla deriva
verso il niente – mortorio senza plauso
e calore di amanti – ho atteso
contando goccia a goccia le perdite
della mia anima, incurvato sull’abisso
come un rubinetto guasto,
E per questa sporca arteria smagrita
dall’usta dell’ombra portato a spasso
un rogo, senza apprendere teorie
profonde o un senso più alto,
contingente – tutto è appiattimento,
miseria, finzione.


Uno come gli altri

Un altro di troppo, uno come gli altri,
corpo e mente deperibili,
il suo respiro infuso in una forma d’ottone
destinata a eseguire abietti stralci di note
cucite su misura addosso
a un’eco preimpostata;
un numero in più, uno come gli altri,
occhi come bottoni,
senza coraggio e senza bellezza,
che si appiattisce
assottigliandosi fino a scomparire
per diventare parte
dell’insieme: un perverso groviglio
di ali e pugni e pinne e gambe
che libera il proprio volto funesto dal sudario
come una macchina di morte
riuscita alla perfezione.


Puntami addosso una lampada e ti rivelerò
i miei segreti: sto scrivendo il tuo nome nel sangue,
tesoro, mentre mi stai facendo a pezzi,
eppure sembra non sia sufficiente,
non posso ridarti ciò che è stato mortificato
senza consumarmi a mia volta,
lasciami ancora sfiorare il tuo cuore
e non mandarmi a letto con un bacio d’addio –
immagina un ipotetico futuro insieme
in una bella casa, con dei figli e degli amici
che ci vengono a trovare,
potremmo addirittura adottare un cane o un gatto
se vuoi, non dirmi che tutto questo
non ti renderebbe felice –
oltre il velo sottile della fantasia abita
una concreta possibilità,
promettimi solo che ci penserai su.


Ci strapperanno via il cuore e sarà come un uovo nero
ci ridurranno a uno straccio e tireranno fuori il peggio
porteremo a spasso il segno dei denti e delle unghie
e saremo uno sputo fra i tanti – vestiti con un pigiama numerato
e un cappio d’oro attorno al collo e spinti verso una botola
posta all’estremità del corridoio – ci lasceranno marcire dal di
dentro
fin quando non conteremo meno di un soldo bucato,
e non saremo né i primi né gli ultimi, ma solo dei bastardi qualsiasi
in fila insieme a tutti gli altri, nessun saggio sul piedistallo,
nessun furbo ai lati, feroci e luminosi, benedetti da un amore
per il quale ammazziamo per essere ammazzati – ti prego,
dimmi che tu non sei qui per questo – sanguiniamo insieme.


Posso sentire il latrare dei cani nei vicoli dietro il bar,
le pareti sono tappezzate di oscenità da galeotti
e nell’angolo il piscio ancora fresco imbratta una scritta slavata
che riporta il numero di qualche prostituta in zona;
mi sta girando la testa e sembra che questa fottuta città
stia per saltare in aria da un momento all’altro – dio,
se solo potessi riavvolgere il nastro per essere altrove con te!
è disumano camminare sottosopra e dover guardare
il cielo attraverso una pozzanghera e ora
è proprio così che mi sento, ma sforzandomi un po’ riesco
a inquadrare la scena: tu in controluce su di me,
magnifica, sui sedili posteriori di un’auto malridotta:
ho provato a chiamarti tante di quelle volte
ma non ho mai ricevuto risposta.

L’AUTORE

Giuseppe D’Abramo (1988), di Oria in provincia di Brindisi, si è laureato in Lettere Moderne all’università di Milano e adesso lavora come docente nella scuola secondaria. Ha pubblicato diversi racconti, poesie e traduzioni su riviste letterarie e lit-blog (tra cui Atelier, Gradiva, Interno Poesia) e su la Repubblica di Roma e Milano per Bottega di poesia. Ha pubblicato per Controluna la raccolta di poesie Figli del Caos.

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