Inediti di Fabrizio Sani | L’Altrove
Con incoscienza
Quand’ero distratto avevo ancora quattordici anni,
avevo ancora diciannove anni, avevo ancora ventidue anni.
Non avevo imparato niente sull’amore
e camminavo e parlavo, con incoscienza.
Roma, dietro le rughe, mi ha riconosciuto
e non mi ha avvertito.
Quand’ero gradevole era notte in periferia
e mi dondolavo tra l’immondizia
sperando di sfiorarti la mano prima di entrare a casa.
Non era mai esistito un domani,
attraverso mille tubature mi disperdevo
in un groviglio di memoria e deserto.
Quand’ero vivo non ci pensavo alla vita
né alla mia, né alla tua.
Pensavo alle parole dei libri, a certi suoni,
alla carne, la tua e la mia.
Neanche un attimo all’ombra che lasciano quelle parole
dentro di me mentre le dico a te.
Quand’ero verbo mi modellavo con quei libri,
e lì cercavo altre parole, altri suoni, altra carne.
Tutte cose che tu avevi già negli occhi.
E camminavo e parlavo, con incoscienza.
Roma, dietro le rughe, mi ha riconosciuto
e non mi ha avvertito.
La luce, tutta
Di una notte, la luce, tutta.
Parlerei bene, con parole innocenti,
scandite, giuste.
Non fosse per l’ordine che compongo;
non fosse per la tua schiena
che non mi vede
mentre non le pronuncio;
non fosse per la mia lingua bloccata,
avvitata dentro la gola.
Ed è la luce, tutta,
a cozzare contro di me,
quando mi si chiudono gli occhi,
come a dirmi,
proprio per dirmi,
soltanto per dire a me
di non tirare troppo la corda
o mi ci impiccheranno.
Di notte, la luce, tutta,
torreggiante, opprimente, questa notte,
di un bianco tremulo mi pesta,
per costringermi a parlare
e le mie parole, sulla tua schiena
fanno il suono che fa l’ombra
quando si appoggia sull’asfalto.
Questa distanza
Questa distanza: grido unto e pecoreccio,
è certo solo un buco, una fossa di parole macinate.
Questa distanza ricorda la saliva a forza deglutita,
la sensazione che non so della gola lacerata dalla sete,
quella aspra che sai tu dell’olio franto da una rima,
Questa distanza è uno sventolio di tende, di persiane,
di porte, di cemento, di pelle sgualcita con un po’ di peluria,
uno folata di forse e di tutto ciò che mi separa dagli interni.
Questa distanza è poco più di un vagito, quel filo di luce in più
che la mattina ti sveglia in una camera d’albergo,
una particella che cade e ti da le vertigini.
Questa distanza è il tentativo di una pianta verso il cielo,
costante, come il mare, incalcolabile, come il mare,
culla di cadaveri, come il mare, assolta quanto il mare.
Questa distanza è l’esigua realtà al di fuori di te,
il palpitare del sottosuolo, vivere solo per vivere domani,
vivere solo per difendere la nostra abilità di vivere senza un perché.
Questa distanza è la mia solitudine che mi abbandona
per starsene sola anch’essa, ma meglio di me,
più fiera e più elegante di me,
in un’altra pagina. Dove è ancora possibile
nel vuoto, tacere una forma.
L’AUTORE
Fabrizio Sani è nato in provincia di Arezzo e vive a Roma. Laureato in Editoria e Scrittura presso l’università La Sapienza, ha pubblicato due raccolte di poesie: Si innamoravano tutti di me e io del loro amore (SuiGeneris, 2018) e Il contrario di abitare (I Quaderni del Bardo, 2022) e un saggio geopolitico, Camminare rasente al muro (Edizioni Malamente, 2023). Ha collaborato con case editrici, riviste e agenzie letterarie, svolgendo mansioni redazionali e di scrittura. Si di letteratura e cinema su riviste cartacee e digitali. Dal 2022, assieme al musicista Marco Nardone e alla pittrice Anita Zanetti, porta in scena uno spettacolo che ho scritto dal titolo “Lessico della mancanza”.