Poeti contemporanei viventi

Poesie scelte di Ennio Cavalli | L’Altrove

Parola

Ogni parola è una carezza al buio,
un aliscafo
su un mare di righe scosse.
Un capretto legato al nocciolo.
Un maccherone al dente
e la sua trafila di bronzo.
Ogni parola è una poltrona a teatro,
la tentazione del commediante.

Il rito zingaro della capanna
una pelle conciata
l’arsura di una bottiglia.
Dritta come i pali della luce
verde come l’onda dei semafori
secchio nel pozzo, spilla da balia,
ogni parola risponde a un’altra parola.


Sguscia fagioli e motti,
fa strage di orchi, di abbagli.
Alza la voce in quartieri e quaderni,
patto segreto per non passare alle mani.

Da Libro di sillabe (Donzelli, 2007)


 

Chiude la gola aprire l’atlante
sulla pozza della Via Lattea
sapendo che l’infinita Hollywood di luci
altro non è che fiato di universo,
atlante di se stesso, cantina
per comete e che le praterie,
le case uomini e partenze
sono una tasca sfonda.

A meno che le stelle tutte assieme,
anche se soffocate nella culla
o disegnate dai bambini
fin dove non c’è sguardo,
in ordine innocente,
formino ardentemente
lo scheletro di Dio.

Da Bambini e clandestini (Donzelli, 2002)


 

Trent’anni

Sono padre del bimbo che a dieci anni
su questi muscoli trottava incontro
a un’abitudine già adulta
e con la stessa lingua moltiplicava feste e avvilimenti
i crucci perentori, indelebili obiezioni.
Un uomo tra germoglio e ramo,
vocale liquida nel doppiosenso.

Sono padre del bimbo che odiava l’aritmetica
e adesso suddivide estri per variabili future.
Gli ho insegnato a non piangere,
che la solitudine teme chi ha in casa un giradischi,
per amico un gatto o un’idea.
Si paracadutava nell’istinto e gli ho mostrato ortica e miele
la pesca col suo baco.

I miei occhi con lui hanno mangiato primavere
(profumate vivande)
e magnolie gonfie come colombe sui rami.
Abbiamo passato stagioni nel cappottino più corto,
oppure spavaldi in qualche capitale europea.
Le sue scarpe mi starebbero strette,
nelle mie immagina ancora
una meta importante, appuntamenti a Milano.

Tentava l’O di Giotto,
l’inconfutabile circoscrizione del talento.
Docile avversario, il muro trasformava palloni
in prodezze al volo (a quale finestra una bambina?).
Tra i suoi bottini, uova di lucertola
un otto a scuola, la Bianchi col cambio
per quella tappa in falsopiano.

Dovrei avere il triplo di saggezza.
Mi appello invece a sue nozioni elementari,
il cuore sempre a due spanne dalla testa.
Dov’è a quest’ora? Ucciso dal chiodo della cresima
soffocato di sangue adolescente
da padre tartaro squartato col coltello,
mi lasciò le sue ossa e il profilo.
Dorme in un cimiterino di paese
dopo la polvere e dopo le magnolie.
Questi trent’anni sgocciolati e in bilico
sono il segreto, l’esile zavorra messa in salvo.

O forse vive un poco in me, chimicamente esausto,
un poco per il mondo,
nelle notizie edificanti dei giornali
nelle paure come foglie accatastate
e mai un falò, un argomento a incenerirle.
Resterà per capire, ad annusare.
Sarà un’idea nel quaderno delle imprecisioni
la sorpresa riletta in una foto.

Da Trent’anni (L’Airone)


 

Certi versi

Certi versi sono bambine indiane,
spose in attesa di crescere.
Altri nascono dalla coscia di Giove,
straordinariamente assortiti.
Ma i poeti preferiscono i propri.

Certi versi sono esche vive
per la pesca d’altura,
schiavi messi ai remi
tra un mondo e l’altro,
schiavi rimessi al mondo.

Quando non uniscono gli antipodi,
inciampano dappertutto
si danno al brigantaggio, all’accattonaggio
levano i sentimenti
in un apostolato di falsi indizi.
Come fulmini incendiano i boschi,
fanno da filtro ai filtri d’amore.

Altri ancora, inodori, insapori,
hanno troppi pensieri.
Affondano sotto il peso dei debiti.
A volte non sono versi,
ma un poema di leve e tiranti,
un giardino all’inglese
frequentato da baby-sitter.

Le motociclette del muro della morte,
nell’altra vita,
erano versi a testa in giù,
tenuti in sella da un’idea fissa:
una canzone o l’amore per sempre
e chi s’è visto s’è visto.

Ma un pescatore di spugne analfabeta
un tenore senza nome in cartellone
un gaucho ubriaco sbalzato da cavallo,
se trattengono il fiato,
ne hanno pronti di nuovi.

Da Poesie con qualcuno dentro (Aragno, 2012)


La poesia

La poesia segue tutte le regole
e non ne rispetta nessuna,
non mangia carne al venerdì
indossa il burqa,
ma al venerdì si incarna
in una guapperia di ranocchi
nell’atrio rumoroso di una dalia,
dentro il burqa si spoglia per amore
come nel salone delle feste
di un castello assediato.
La poesia ha gambe leste,
il ghepardo mangia la sua polvere,
è l’unica gualdrappa che l’indomabile unicorno
sa sentirsi addosso.
La Biancaneve dei poeti bacia
un Cucciolo sfrontato
e la lanterna scende a valle
per un remoto turno di doppiaggio.

Da L’imperfetto del lutto (Aragno, 2008)

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