Riscoprire i poeti

Le personalità di Fernando Pessoa, il poeta fingitore | L’Altrove

Sebbene nato a Lisbona nel 1888, il poeta portoghese Fernando Pessoa trascorse gran parte della sua infanzia, dal 1896 al 1908, in Sud Africa, dopodiché tornò in Portogallo, dove morì nel 1935. Educato a Durban e a Città del Capo, parlava un inglese perfetto e scrisse alcune delle sue prime poesie in inglese. Il bilinguismo di Pessoa potrebbe infatti essere la causa della sua straordinaria e quasi psicopatica diversità anche come poeta portoghese. Non contento di scrivere in due lingue e tradizioni letterarie diverse, quelle della poesia inglese di fine Ottocento e della poesia portoghese post-romantica, Pessoa scrisse e pubblicò le sue opere portoghesi sotto sei nomi diversi, in sei idiomi poetici, ciascuno dei quali costituisce un’identità separata tra quelli che Pessoa e i suoi critici portoghesi hanno chiamato i suoi eteronimi

Negata ogni spontaneità espressiva wordsworthiana perché sempre costretto a scegliere se esprimersi in inglese o portoghese, Pessoa fece così una virtù dell’autoalienazione impostagli dal dover esitare tra l’una o l’altra delle due lingue che gli restavano, proprio grazie a questa scelta, a lui ugualmente familiari e estranei. In entrambe le lingue, Pessoa dovette fingere, in ogni momento, di ignorare le tradizioni e le convenzioni poetiche di una o dell’altra lingua e, in portoghese, di ignorare anche gli idiomi peculiari delle altre cinque personalità che reprimeva ogni volta che scriveva con una di esse.

Anche il nome Pessoa sembra implicare questo peculiare destino. Derivato dalla parola latina che significa personaggio di una commedia o maschera, oggi significa, nel portoghese parlato, una semplice persona, nel senso più vago della parola. Molto prima di diventare pazzo, Ezra Pound aveva quindi scelto Personae, che significa maschere, come titolo della prima raccolta delle sue poesie in cui rivelava, per la prima volta, le complessità della propria identità alludendo inconsciamente alla propria futura alienazione. Proprio al tema della maschera o della persona Pessoa dedicò uno dei più belli dei Trentacinque Sonni (Tradotto in italiano da Passigli Editore) che pubblicò privatamente in inglese nel 1918.

Ma Pessoa era ben consapevole dei limiti che il destino e la nevrosi imponevano al suo genio. Per liberarsene, cominciò, come un personaggio di Pirandello, a condurre altre sue vite, vite immaginarie di poeti immaginari, di personaggi immaginari di cui scrisse e pubblicò le vere e proprie opere sotto questi altri nomi che ora sono i suoi eteronimi. In uno dei suoi Trentacinque Sonetti, Pessoa giustifica queste giocose mistificazioni facendo riferimento ai più grandi misteri dell’astrologia:

Il mondo con l’alte sfere ci lascia giocherellare,
Consapevole che, seppur non facciamo, tutto era
Dai nostri astri già segnato quando furono
Padrini della nostra nascita e del nostro sangue

Quando si esprimeva in inglese, Pessoa chiudeva generalmente le sue considerazioni metafisiche e le sue fantasie erotiche in una dizione un po’ dotta, creando per sé un idioma personale quanto quello di Edward Benlowes, William Blake, Hopkins o anche Laura Riding. Era uno degli eremiti della lingua, una sorta di trappista della poesia inglese che scriveva un idioma che spesso leggeva o immaginava ma che raramente parlava o ascoltava.

Nella maggior parte della poesia portoghese che pubblicò sotto il suo nome, Pessoa si rivela un tardo romantico o un simbolista piuttosto che un moderno. A volte un po’ decadente, Pessoa tende, dopo il 1910, ad interessarsi sempre più all’occultismo e, in questo senso, è un precursore dei primi surrealisti. Pur essendo un traduttore di Poe, Pessoa ricordava anche le sue letture di Whitman, ma mai tanto quanto nella poesia apertamente panteistica che pubblicò sotto altri due nomi, Alberto Caeiro e Alvaro de Campos. In nessun momento, in nessuna delle poesie che pubblicò in portoghese sotto uno qualsiasi dei suoi vari nomi, Pessoa si preoccupò delle visioni selvaggiamente erotiche che caratterizzarono gran parte della sua poesia inglese. Al contrario, come poeta inglese espresse una personalità distinta e sembra che abbia scelto deliberatamente la lingua dei suoi anni scolastici anglosassoni per scrivere il tipo di poesia che alcuni poeti inglesi osano scrivere solo in latino o in francese.

Come Alvaro de Campos, Fernando Pessoa attirò maggiormente l’attenzione, sia in Portogallo che in Francia. Ebreo immaginario, discepolo nevrastenico del futurismo di Marinetti e ingegnere navale, Alvaro de Campos sembra quasi un personaggio uscito da un romanzo di Kafka:

Ho vissuto, studiato, amato e perfino creduto,
e oggi non c’è accattone che io non invidi solo perché non è me.
Guardo gli stracci e le piaghe e le menzogne di ciascuno
e penso forse non hai mai vissuto né studiato né amato né creduto
(perché è possibile fare la realtà di tutto questo senza far niente di questo);
forse sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda
e che è coda al di qua della lucertola agitatamente.

Da La Tabaccheria contenuta in Poesie di Fernando Pessoa, Adelphi, traduzione di Antonio Tabucchi.

Scrivendo versi liberi e ricordando sia Whitman che Baudelaire o Marinetti, Pessoa andò molto più in là e con Alvaro de Campos si ferma solo alle frontiere stesse dell’allucinazione, della spersonalizzazione, dell’alienazione:

Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono?
Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose!
E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti!

Proprio sotto la firma di Álvaro de Campos, egli pubblica il suo grande manifesto profetico in cui definisce la letteratura del futuro, la poesia di un’epoca in cui l’individuo cesserà di avere qualsiasi significato o esistenza:

Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso voler essere niente.
A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.

Scrivendo sotto il nome di Bernardo Soares, Pessoa si concesse di essere un personaggio mediocre, privo di ispirazione, una personalità mutilata che tratta con affettuosa indulgenza. Come C. Pacheco, Pessoa pubblicò solo un’opera, un esempio di futurismo o surrealismo altamente intellettualizzato. Come Antonio-Mora, non scrisse nulla ma è menzionato come il maestro immaginario “intellettualmente pagano” del suo immaginario C. Pacheco, proprio come Caeiro era stato il maestro dichiarato di Álvaro de Campos.

In un saggio Pessoa distingue chiaramente i suoi vari heteró nimos: «Bernardo Soares sono me stesso, meno la mia facoltà di ragionare e la mia affettività. La sua prosa, fatta eccezione per la tenue qualità che il mio ragionamento è uguale al mio, in un portoghese assolutamente equivalente, mentre Caeiro ha scritto un portoghese pessimo e Campos un portoghese ragionevole, ma con errori. Mi è difficile scrivere la prosa di Reis, e per questo è inedita, o quella di Campos. Questo tipo di simulazione è più facile, perché più spontanea, in versi che in prosa».
Tutta la poesia, agli occhi di Pessoa, era infatti simulazione, e tutti i poeti, secondo la sua fede, sono più sinceri quando sono meno sinceri, più veritieri quando fingono.

Autopsicografia

Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.

E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.

E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.

Da Una sola moltitudine, Adelphi, traduzione di Antonio Tabucchi.

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