L’amore tra Renée Vivien e Natalie Barney tra passione e gelosia | L’Altrove
Nella Parigi di inizio XX secolo, ritroviamo donne selvagge, poete simboliste immerse nella vita letteraria della città, culturalmente avvantaggiate e intellettualmente determinate. Erano donne della Rive Gauche che aprirono boutique, case editrici e saloni artistici in tutta la città che forgiavano un’utopia saffica con i loro gesti grandiosi di uno stile di vita bohémien di lusso e incentrato sulle donne, un luogo dove l’edonismo autoindulgente andava di pari passo con un record di fervore intellettuale.
Proprio in quella Parigi Renée Vivien e Natalie Barney furono immediatamente incuriosite l’una dall’altra. La Barney rimase affascinata da lei dopo averla sentita leggere le sue poesie, lasciandola con una sensazione che lei descrisse come “perseguitata dal desiderio di morte”, e Renée Vivien ammise che fu amore a prima vista. Ma nonostante i meravigliosi scambi creativi e l’apprendimento congiunto del greco per studiare Saffo in modo coerente per scrivere opere teatrali su di lei, avevano una relazione gelosa e possessiva. Natalie era promiscua e infedele, Renée invece credeva nella fedeltà ma amava davvero un’altra (Violet Shillito, sua amica d’infanzia e amore platonico): tutta la loro relazione era piena di sensi di colpa. L’amore per Natalie ispirò a Renée molte poesie e lo scritto in prosa Une femme m’apparut (Donna m’apparve, in italiano tradotto e pubblicato dall’editore Lucarini), in cui si delinea la sua visione femminista nel rapporto tra i sessi: “Gli uomini non li amo né li detesto. Rimprovero loro di aver fatto molto male alle donne. Sono avversari politici…”
Renée Vivien, poeta nata l’11 giugno del 1877, iniziò un’intensa relazione con Natalie Barney nel 1899; nel 1901, dopo la rottura con Vivien, quest’ultima scrisse molte lettere d’amore disperate in cui cercava di riconquistarla. Natalie Barney convinse persino un giovane cantante mezzosoprano a farle una serenata sotto la finestra mentre lei lanciava una poesia avvolta in un mazzo di fiori (la governante glieli restituì). La scrittrice si rinchiuse quindi nel suo boudoir, nutrendosi delle opere di Baudelaire e Zola e riempiendo la sua poesia di amore lesbico, artificiosità, esotismo, clausura, profumo e morte.
Eppure questo era ciò che Renée Vivien stessa sembrava volere, essere gettata nella sofferenza dell’amore post-mortem, per amore dell’arte; ella si allontanò deliberatamente dalla sua musa ispiratrice.
Alla fine si riunirono, ma non senza un grande sforzo da parte di Barney. «Come potrei riconquistarla?», scriveva, «Devo bussare alla sua porta chiusa? Osare ad inviarle una poesia più diretta, rivelarle la mia sofferenza, quanto soffro? Metto da parte il mio orgoglio e ammetto che l’amo ancora, dal momento che non posso fare a meno di esserle fedele?». Decise quindi di scriverle un sonetto; in alcuni versi leggiamo:
“My tears are a slow poison I will drink
Instead of gleaning from some trivial affair
A barren cure, the final numbness”.
Dopo la loro riconciliazione, Renée e Natalie si recarono sull’isola di Lesbo per viverci, si parlò addirittura di fondare una scuola per poete; le due impararono il greco per leggere i frammenti nell’originale a Lesbo, Vivien comprò una villa, e cercarono Pierre Louÿs, autore di Les Chansons de Bilitis (Canzoni di Bilitis), pubblicizzate come poesie d’amore scritte da uno degli amanti di Saffo, finché Renée non ricevette una lettera dalla sua amante e tornò a Parigi per rompere con lei. Invece non tornò mai Natalie. Ma ella era, oltre ad una padrona di casa dotata e un poeta, anche un’imponente seduttrice, che incantava un lungo elenco di scrittori e poeti, inclusa Colette; Radclyff Hall, Romaine Brooks e Dolly Wilde.
Finita la storia d’amore con Natalie, Vivien ebbe una relazione sentimentale con la ricca baronessa Hélène van Zuylen, una dei Rothschild di Parigi. Mentre era ancora con lei, ricevette una lettera da un misterioso ammiratore di Istanbul, Kérimé Turkhan Pasha, moglie di un diplomatico turco. Ciò diede inizio a una corrispondenza intensamente appassionata, seguita da brevi incontri clandestini. Nel 1907 Zuylen lasciò bruscamente Vivien per un’altra donna, il che alimentò rapidamente i pettegolezzi all’interno della cerchia lesbica di Parigi. Profondamente scioccata e umiliata, Vivien fuggì in Giappone e alle Hawaii con sua madre, ammalandosi gravemente durante il viaggio. Un altro duro colpo arrivò nel 1908 quando Kérimé, trasferitasi con il marito a San Pietroburgo, pose fine alla loro relazione.
Vivien fu terribilmente colpita da queste perdite e precipitò in una spirale psicologica discendente. Si dedicò sempre più all’alcol, alle droghe e alle fantasie sadomasochistiche. Sempre eccentrica, iniziò ad assecondare i suoi feticci e le sue nevrosi più bizzarri. Misteriose scappatelle sessuali la lasciarono senza riposo per giorni. Intratteneva gli ospiti con cene a base di champagne, per poi abbandonarli quando convocata da un amante esigente.
La grande scrittrice francese Colette, vicina di casa di Vivien dal 1906 al 1908, immortalò questo periodo aberrante ne Il puro e l’impuro, (pubblicato in Italia da Adelphi) una raccolta di ritratti che mostrano lo spettro del comportamento sessuale. Scritto negli anni ’20 e originariamente pubblicato nel 1932, la sua accuratezza fattuale è discutibile; Secondo quanto riferito, Natalie Barney non era d’accordo con la caratterizzazione di Vivien fatta da Colette. Eppure questa rimane un raro scorcio della vita dissipata della poetessa, scritto da una sua contemporanea.
Renée Vivien romanticizzava la morte e, come già anticipato, la sua salute iniziò presto a peggiorare: era dipendente dal sedativo cloralio idrato e tentò piccoli suicidi con overdose di laudano mentre era distesa sui divani con mazzi di violette legati sul petto. Non mangiò quasi nulla per giorni, bevve molto e poco dopo morì di polmonite nel 1909, all’età di 32 anni; la causa della morte fu segnalata all’epoca come congestione polmonare, ma probabilmente era il risultato di una polmonite complicata da alcolismo, abuso di droghe e anoressia nervosa. Fu sepolta nel cimitero di Passy, nello stesso esclusivo quartiere parigino in cui aveva vissuto.
Natalie Barney disse, circa 50 anni dopo, che Renée non poteva essere salvata. La sua vita era stata un lungo suicidio. Tutto si trasformava in polvere e cenere nelle sue mani. Purtroppo la maggior parte del lavoro di Barney rimane non tradotto anche se appare ripetutamente nei romanzi e nelle poesie di molti scrittori famosi.