Recensione: “Il fosso” di Edoardo Piazza | L’Altrove
«Le parole non colgono il significato segreto, tutto appare un po’ diverso quando lo si esprime, un po’ falsato, un po’ sciocco, sì, e anche questo è bene e mi piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ sciocco alle orecchie degli altri.» (Siddharta, traduzione di Massimo Mila, edizione Adelphi, collana Piccola Biblioteca, 1973-2011, pag. 190)
Leggendo la prima poesia de Il fosso di Edoardo Piazza, pubblicato da Transeuropa Edizioni a marzo 2023, non possono non venirci in mente le parole sovracitate da Siddharta.
Barattare il Nobel con le pizzette rosse
Mentre l’antenna inculcava paura instillando paura nel suo figliol prodigo
io ricercavo il samana scalzando il samsara con balzo metodico.
Quelle di Edoardo Piazza, infatti, sono parole, versi, poesie che forse un po’ ci rimangono segrete. Il poeta, in questa sua nuova raccolta, è autentico nella sua complessità, nell’accostamento di temi e termini che, di primo acchito, sono diversissime tra loro, in contrapposizione o vengono da regioni tematiche differenti. Qui sta, per l’appunto, il divino ascetismo nel creare un perfetto equilibrio tra le diramazioni delle parole. Ma non solo. Nelle poesie successive si prende ad esame la realtà del mondo, in una narrazione di fatti tra mitologia e verità. È il caso di Matrimoni:
Matrimoni
Il Vespro, Antigone,
non è la fine.
Venezia galleggia ancora.
L’Amore è morto
ma resistono le candele,
i gechi attaccati ai muri.
Scorre la piroga dell’orologio.
Odoacre soggiogò i dalmati,
piansero i vietnamiti,
c’è disorientamento tra le fila degli iracheni,
è in terapia intensiva il polmone dell’Amazzonia.
Gli anelli di Saturno
non entrano nelle dita.
In questo testo si incontrano Antigone, Odoacre, Venezia e l’Amazzonia, terminando con un viaggio fuori dal pianeta Terra.
Il fosso qui è una depressione ed un attraversamento necessario. Ci vuole coraggio e pazienza, ma anche quel briciolo di pazzia. Questa sana follia del poeta non sta nel buttare a casaccio termini nella speranza di tirarsi fuori un qualcosa che possa somigliare ad una poesia o ad un verso, bensì in quel beat, che tradurremo come beatitudine, ossia quello stato gaudio e appagamento nella composizione stessa del verso. Quindi un fosso che è depressione necessaria ed un’uscita altrettanto necessaria da esso. Da questi presupposti riusciamo bene a comprendere il mondo di Edoardo Piazza e il particolarissimo modo di scrivere.
Ogni poesia è in evoluzione, si piega in se stessa, risorge, si staglia davanti al lettore che un po’ si ritrova spiazzato. Il poeta guarda la realtà con occhio diverso e crudo; quello che Piazza ha è un occhio poetico differente dal solito e questo lo appuriamo leggiamo le poesie successive della raccolta:
La coppia
Il tuo sorriso di tungsteno
mi irrigidisce.
I tuoi occhi escavatori frustrano
i miei quattro capelli,
che rivelano che siamo in troppi.
Una nicchia di spuma sarà nostra caverna;
lì partoriremo figli ossigenati
per darli in pasto ai cannibali
se non saranno attenti alla libertà.
Spaesaggio
Spaesaggio effimero senza cuore,
stretto ai miei gomiti con furore.
La sedia è una sedia,
la forma mi informa.
Le gambe di cera su cemento che gonfia il viso,
di preciso…
non ti so dire.
Una matita è per tutta la vita.
E allora son venuto al mare,
dicono il mare,
io vedo soltanto vapore
di un grigio colore
che smorza l’umore.
Ulcere manco fossero ciminiere.
Sapore di non arrivare.
E gli altri che fanno?
Intanto se ne vanno a consumare…
Nonnette con le sigarette indossano magliette
per gli happening.
Cannucce nelle noci di cocco:
i cocktail si squagliano allo scirocco
in un’atmosfera languida che ferisce i visi,
divisi
dalla voglia di scappare.
Oggi dopo anni ritrovare quel geranio
morto e poi risorto per puntar l’iperuranio.
Fendere la piovra con meticoloso onore,
rendere ogni cosa viva coda di pavone.
Questa realtà narrata a volte appare distorta, comica, surreale. Non c’è bisogno di affermare che in questo suo verseggiare il poeta si trattenga nei dettagli, ed è interessante l’uso che fa delle rime, così che ogni poesia suoni come una canzone o ci ricordi qualche antico e classico sapore letterario.
In sostanza, Il fosso è un libro non immediato, ma da assaggiare, poi prendersi una pausa e ritornare tra le sue pagine per riscoprirne l’unicità, ciclicamente, senza esserne sormontati e uscirne deliziati.
L’AUTORE
Edoardo Piazza (Roma, 1986) ha studiato Scienze Politiche e ha fondato un’associazione socio-culturale. Si occupa di revisione testi e ghostwriting. In poesia è stato finalista al Premio Bertacchi e al Premio Zeno. Ha pubblicato la raccolta “Container!” con Ensemble Edizioni, presso la quale è uscito pure nell’antologia Congiunti e nell’Agenda Poetica 2022. Il suo primo romanzo, “Il Capodanno di Umberto Rose”, è stato pubblicato nel 2020 da Apollo Edizioni.