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Le più belle poesie per la festa del papà | L’Altrove

Papà, radice e luce di Maria Luisa Spaziani

Papà, radice e luce, portami ancora per mano
nell’ottobre dorato del primo giorno di scuola.
Le rondini partivano, strillavano:
fra cinquant’anni ci ricorderai.

Da I fasti dell’ortica, Mondadori


Il padre di Pablo Neruda

Terra dalla superficie incolta e arida
terra senza corsi d’acqua né strade
la mia vita sotto il sole trema e si allunga.

Padre, i tuoi dolci occhi non possono nulla
come nulla poterono le stelle
che mi bruciano gli occhi e le tempie.

Il mal d’amore mi tolse la vista
e nella fonte dolce del mio sogno
una fonte tremante si rifletté.

Poi… chiedi a Dio perché mi dettero
ciò che mi dettero e perché poi
incontrai una solitudine di terra e di cielo.

Guarda, la mia giovinezza fu un candido germoglio
che non si aprì e perde
la sua dolcezza di sangue e vitalità.

Il sole che tramonta e tramonta in eterno
si stancò di baciarla.. È l’autunno.
Padre, i tuoi dolci occhi non possono nulla.

Ascolterò nella notte le tue parole: …figlio, figlio mio…
E nella notte immensa
resterò con le mie e con le tue piaghe.

Da Crepusculario


Mio padre di Antonio Machado

Io ho quasi un ritratto
del mio caro padre, nel tempo,
ma il tempo se lo porta via.
Mio padre, cacciatore – sulla riva
del Guadalquivir, in un giorno così chiaro! –
-è la canna blu del suo fucile
e il fumo bianco del tiro preciso.
Mio padre nel giardino di casa nostra
mio padre tra i suoi libri, che lavora.
Gli occhi grandi, la fronte spaziosa,
il viso scarno, i baffi lisci.
Mio padre scrive – caratteri minuscoli –
riflette, sogna, soffre, parla ad alta voce.
Passeggia. Oh, padre mio, ancora
ti vedo e il tempo non ti ha cancellato!
Ormai sono più vecchio di te, padre mio, quando mi baciavi.
Ma nel ricordo
sono ancora il bimbo che tu prendevi per mano.
Tanti anni sono passati senza che ti ricordassi, padre mio!
Dove sei stato tu in tutti questi anni?

13 marzo 1916

Da Los complementarios


Vorrei farti felice con questo niente di Giovanna Sicari

Babbo, vorrei comprarti
tutte queste piccole cose
esposte al mercato,
cose piccole, inutili:
arnesi, cianfrusaglie, biglietti.
Vorrei farti felice con questo niente
che colma il vuoto
con quest’amore che ripara,
tu solo annaffi le piante lievi
lavi e curi ogni cosa
e scavi nella compostezza
della vita, con decisione
raccogli foglioline e altro
tu solo puoi entrare nell’infinito.

Da Portami ancora per mano. Poesie per il padre, Crocetti


Padre, se anche tu non fossi il mio di Camillo Sbarbaro.

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso, egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

E di quell’altra volta mi ricordo
che la sorella, mia piccola ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
(la caparbia avea fatto non so che)
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura, ti mancava il cuore:
chè avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillante l’attiravi al petto
e con carezze dentro le tue braccia
avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch’era il tu di prima.

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.

Da Pianissimo


Al padre di Salvatore Quasimodo

Dove sull’acque viola
era Messina, tra fili spezzati
e macerie tu vai lungo i binari
e scambi col tuo berretto di gallo
isolano. Il terremoto ribolle
da tre giorni, è dicembre d’uragani
e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
nei carri merci e noi bestiame infantile
contiamo sogni polverosi con i morti
sfondati dai ferri, mordendo mandorle
e mele disseccate a ghirlanda. La scienza
del dolore mise verità e lame
nei ginocchi dei bassopiani di malaria
gialla e terzana gonfia di fango.

La tua pazienza
triste, delicata, ci rubò la paura,
fu lezione di giorni uniti alla morte
tradita, al vilipendio dei ladroni
presi fra i rottami e giustiziati al buio
dalla fucileria degli sbarchi, un conto
di numeri bassi che tornava esatto
concentrico, un bilancio di vita futura.

Il tuo berretto di sole andava su e giù
nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
Anche a me misurarono ogni cosa,
e ho portato il tuo nome
un po’ più in là dell’odio e dell’invidia.
Quel rosso sul tuo capo era una mitria,
una corona con le ali d’aquila.

E ora nell’aquila dei tuoi novant’anni
ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
di partenza colorati dalla lanterna
notturna, e qui da una ruota
imperfetta del mondo,
su una piena di muri serrati,
lontano dai gelsomini d’Arabia
dove ancora tu sei, per dirti
ciò che non potevo un tempo – difficile affinità
di pensieri – per dirti, e non ci ascoltano solo
cicale del biviere, agavi lentischi,
come il campiere dice al suo padrone:
«Baciamu le mani». Questo, non altro.
Oscuramente forte è la vita.

Da La terra impareggiabile, Mondadori.

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