Riscoprire i poeti

Le mestruazioni in poesia. Poesie per l’8 marzo | L’Altrove

La poesia ha sempre riguardato il corpo, femminile in particolar modo, ed è sempre scaturita in modi particolarmente esplosiva da corpi che rimangono esaminati e oggettivati su scala pubblica e personale. Mentre il sangue macchia i nostri jeans e le nostre lenzuola, le mestruazioni possono facilmente trasformarsi in una metafora inquietante: il piano interno dell’esistenza che improvvisamente possiamo vedere espresso esternamente.

Come la poesia, aspettiamo che quel periodo arrivi attraverso i nostri corpi, per colpirci allo stomaco e poi espellerlo. Ci appartiene e non ci appartiene. Costringe gli occhi a fissare, le mani a lavorare, il cervello a sussultare. È dirompente, uno scandalo. Scandisce e modella il tempo in una narrazione morbida, proprio come fa la scrittura. Resiste ai controlli pesanti. In realtà è quasi del tutto incontrollabile, proprio come sua sorella, la poesia. È una trascrizione esperienziale dei segreti del corpo.

Oggi, 8 marzo, per la Giornata Internazionale della donna vi proponiamo la lettura di alcune poesie dedicate alle mestruazioni, considerato come il segno tangibile del passaggio da bambina a donna.

Inno all’utero, di Chandra Livia Candiani

La prima cosa
che ho saputo di te
è stato un discorso di fretta:
ti chiamavano casetta di carne,
ti avrebbero abitato
strani bambini trasparenti
fatti di vene e pelle sottilissima,
spiati per un attimo
sull’enciclopedia ho
saputo di te
quando già
mi avevi rigato le gambe
di sangue caldo:
ero una giovane bestia
con la testa scurissima
i sogni malati
il corpo sordo,
ero piccolissima
o forse mai nata e tu
eri già l’utero
di una donna avevo
paura di te,
la violenza del pene
era la giusta risposta
alla tua schifosa
dimostrazione d’esistere è
successo di colpo
non hai sanguinato più,
il mio seno è ingrossato
il mio stomaco ha avuto
fame
e nausea
nausea
e fame
canzone monotona
e assurda
domande notturne
lunghe ore
di corpo nudo
di profilo
allo specchio,
non eri mai morto
stavi fabbricandomi
un bambino
il mio cervello
è partito di corsa
dopo tante amicizie
e alleanze
contro di te,
se ne è andato
senza un saluto
ho fatto l’aborto
anche se amavo
quel bambino abbozzato
incosciente
identico a me
e tu da sasso
sei diventato ghiaia
e poi sabbia
e poi acqua
e poi fiume
e poi sangue
e ho parlato con te
e ho capito te,
ti ho sentito
e difeso
e la mia nuova coscienza
è nata dal tuo sangue
che è il mio
e la nuova coscienza
è fatta finalmente
anche di carne
e tu sei una bomba
dentro di me
pronta a vendicare
il mio lungo sonno schizofrenico
e tu ora
non devi più soffrire,
combatterai con la mia testa

ma questa volta
sarete dalla stessa parte

Da Ascolta: questa voce non può essere perduta. Poesia Femminista, Casa della poesia.


per la mia ultima mestruazione di Lucille Clifton

allora ragazza, arrivederci,
dopo trentotto anni.
trentotto anni e non
sei mai arrivata
– splendida nel tuo vestito rosso –
senza qualche problema
da qualche parte, per qualche motivo.

adesso è finita,
e mi sento proprio come
quelle nonne che,
dopo che la ragazzaccia che erano se n’è andata,
siedono tenendo la sua foto tra le mani,
sospirando: “non era
bellissima? non era bellissima?”

Nuovi poeti americani, Einaudi.


Donna senza figli di Sylvia Plath

L’utero
Scuote il guscio, la luna si separa
Dai rami e non arriva.

Il mio ambiente è una mano
Senza le linee, vie
Strette in un nodo, io

Io la rosa che adempi, io –
Sono il corpo,
Sono l’avorio

Empio come uno strillo.
Questo ragno che sono
Crea specchi docili alla mia figura,

Emissioni di sangue
E basta – Prova il rosso!
E questo bosco funebre

Questa collina e questo
Effetto luccicante
Delle bocche dei morti.

traduzione di Massimo Sannelli.


Di Rupi Kaur

a quanto pare è una mancanza di tatto
dire pubblicamente che ho il ciclo
perché l’effettiva biologia
del mio corpo è troppo concreta

è accettabile vendere ciò
che sta fra due gambe di donna
più di quanto non sia accettabile
nominarne i meccanismi interni

l’uso ricreativo di
questo corpo è ritenuto
bello mentre
la sua natura è
ritenuta brutta

Da Milk and honey, Tea


Sangue di Moniza Alvi

Le ragazze indiane cominciavano prima
a mestruare. Così diceva mia madre.
(O così mi pareva avesse detto).
E mi raccontò di Neema
che un certo solenne pomeriggio,
era venuta in visita, anni prima,
si era seduta nel giardino roccioso
e aveva dato il mio nome alla sua bambola.
Una ragazza graziosa e raffinata, cui
era presto toccato quell’incredibile
gocciolio su una specie di benda,
nominata solo per le iniziali, che si portava
misteriosamente tra le gambe.
E io, ero più indiana o più inglese?
Ero confusa, come sarei sempre stata
ogni volta che il mio sangue gocciolava
regolarmente nel mondo esterno.
Avrei persino corso con quell’impaccio,
goffa, nella gara con l’uovo nel cucchiaio,
l’avrei trattenuto nello sforzo di passare
un’arancia stretta sotto il mento,
le mani legate dietro la schiena.

Da Un mondo diviso, a cura di P. Splendore, Donzelli.


Menstruation at Forty, di Anne Sexton

I was thinking of a son.
The womb is not a clock
nor a bell tolling,
but in the eleventh month of its life
I feel the November
of the body as well as of the calendar.
In two days it will be my birthday
and as always the earth is done with its harvest.
This time I hunt for death,
the night I lean toward,
the night I want.
Well then—
speak of it!
It was in the womb all along.

I was thinking of a son …
You! The never acquired,
the never seeded or unfastened,
you of the genitals I feared,
the stalk and the puppy’s breath.
Will I give you my eyes or his?
Will you be the David or the Susan?
(Those two names I picked and listened for.)
Can you be the man your fathers are—
the leg muscles from Michelangelo,
hands from Yugoslavia
somewhere the peasant, Slavic and determined,
somewhere the survivor bulging with life—
and could it still be possible,
all this with Susan’s eyes?

All this without you—
two days gone in blood.
I myself will die without baptism,
a third daughter they didn’t bother.
My death will come on my name day.
What’s wrong with the name day?
It’s only an angel of the sun.
Woman,
weaving a web over your own,
a thin and tangled poison.
Scorpio,
bad spider—
die!

My death from the wrists,
two name tags,
blood worn like a corsage
to bloom
one on the left and one on the right—
It’s a warm room,
the place of the blood.
Leave the door open on its hinges!

Two days for your death
and two days until mine.

Love! That red disease—
year after year, David, you would make me wild!
David! Susan! David! David!
full and disheveled, hissing into the night,
never growing old,
waiting always for you on the porch …
year after year,
my carrot, my cabbage,
I would have possessed you before all women,
calling your name,
calling you mine.


Menses di Edna St. Vincent

(He speaks, but to himself, being aware how it is with her)
Think not I have not heard.
Well-fanged the double word
And well-directed flew.

I felt it. Down my side
Innocent as oil I see the ugly venom slide:
Poison enough to stiffen us both, and all our friends;
But I am not pierced, so there the mischief ends.

There is more to be said: I see it coiling;
The impact will be pain.
Yet coil; yet strike again.
You cannot riddle the stout mail I wove
Long since, of wit and love.

As for my answer . . . stupid in the sun
He lies, his fangs drawn:
I will not war with you.

You know how wild you are. You are willing to be turned
To other matters; you would be grateful, even.
You watch me shyly. I (for I have learned
More things than one in our few years together)

Chafe at the churlish wind, the unseasonable weather.

“Unseasonable?” you cry, with harsher scorn
Than the theme warrants; “Every year it is the same!
‘Unseasonable!’ they whine, these stupid peasants! – – and never
since they were born
Have they known a spring less wintry! Lord, the shame,
The crying shame of seeing a man no wiser than the beasts he
feeds–
His skull as empty as a shell!”

(“Go to. You are unwell.”)

Such is my thought, but such are not my words.

“What is the name,” I ask, “of those big birds
With yellow breast and low and heavy flight,
That make such mournful whistling?”

“Meadowlarks,”
You answer primly, not a little cheered.
“Some people shoot them.” Suddenly your eyes are wet
And your chin trembles. On my breast you lean,
And sob most pitifully for all the lovely things that are not and
have been.

“How silly I am! — and I know how silly I am!”
You say; “You are very patient. You are very kind.
I shall be better soon. Just Heaven consign and damn
To tedious Hell this body with its muddy feet in my mind!”

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