La poesia di Raúl Zurita | L’Altrove
Raúl Zurita è uno dei poeti più celebri e controversi dell’America Latina.
Zurita è nato a Santiago nel 1950 e ha studiato ingegneria delle strutture metalliche presso l’Università Federico Santa María di Valparaíso. Fu in questa stessa città che, all’inizio degli anni ’70, conobbe Juan Luis Martínez, con il quale sviluppò un’intensa attività creativa.
Dopo il colpo di stato militare di Augusto Pinochet del 1973, sostenuto dagli Stati Uniti, che spodestò il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, la poesia di Zurita cercò di registrare la violenza e le atrocità commesse contro il popolo cileno e la corruzione della lingua spagnola. Durante la dittatura che durò dal 1973 al 1990, Zurita pubblicò una trilogia di libri (Purgatorio, Antiparadiso e La Nuova Vita), scrisse poesie nel cielo sopra New York City, demolì poesie nel deserto cileno e contribuì a formare l’arte collettivo “Colectivo de Accion de Arte” che utilizzava la performance come atto di resistenza politica.
I suoi primi due libri, Purgatorio e Antiparadiso (1982), presentano una liberazione dai codici repressivi che nel corso della storia hanno cercato di sottomettere il linguaggio. In Purgatorio il poeta si assume il compito di creare un’opera impersonale, un ibrido tra linguaggio poetico, codice di teoremi matematici ed enunciati logici, che mette in discussione la realtà esistenziale e sociale. Ad Antiparadiso Zurita ha riservato il viaggio esistenziale, il passaggio dal dolore alla gloria, l’incursione nell’angoscia umana, espressa attraverso una poetica innovativa, frutto della sua libera immaginazione e del rapporto testuale con opere chiave della letteratura universale, come la Commedia di Dante Alighieri. Nel 1983 Raúl Zurita pubblica il saggio Letteratura, linguaggio e società, in cui sviluppa l’approccio organico del suo progetto estetico, che è costantemente attraversato da questi tre assi.
Tre anni dopo, l’incursione nel tema dell’angoscia umana si è intensificata in modo più collettivo in Canto a su Amor Disperato. In esso l’autore ci rende partecipi del dolore e della morte, della violenza e della solitudine, riflesso del contesto politico che attraversava il Cile nel 1985. Due anni dopo, ritorna su questi motivi in El Amor de Chile, raccontandoli questa volta con la geografia del Paese.
Sotto gli occhi della chiesa e della dittatura, il poeta giustappose secolare e sacro, governato e non governato. Con una misteriosa mescolanza di logica e logos, simboli cristiani, scansioni cerebrali, grafica e un rapporto medico, Zurita ha ampliato il repertorio formale del suo linguaggio, di materiali poetici, respingendo la brutta insulsità del dominio con la forza.
Zurita ha ricevuto nel 2000 il Premio Nazionale Cileno per la Letteratura, una borsa di studio della Fondazione Guggenheim, e ha tenuto letture di poesie in numerose università americane tra cui Harvard, Yale, Stanford e Berkeley. I suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue, come l’inglese e l’italiano.
Ecco di seguito una selezione delle più belle poesie di Raùl Zurita:
Ti palpo, ti tocco, e i polpastrelli delle mie dita, abituati sempre a
seguire i tuoi, nell’oscurità sentono che scendiamo. Hanno tagliato
tutti i ponti e le cordigliere affondano, il Pacifico affonda, e i loro
resti cadono dinanzi a noi come cadono i resti del nostro cuore.
Davanti alla morte qualcuno ci ha parlato della resurrezione.
Vuol dire allora che vedranno ancora i tuoi occhi svuotati? che
i miei polpastrelli palperanno ancora i tuoi? Nell’oscurità
le mie dita toccano le tue dita e scendono come sono discesi
ora le cime, il mare, come discende ora il nostro amore
morto, i nostri sguardi morti, come queste parole morte. Come
un campo di margherite che si piegano ti palpo, ti tocco, e
nell’oscurità le mie mani cercano la pelle di neve con cui
magari rivivremo. Ma no, discese dalle cime delle Ande
rimangono solo le tracce di queste parole, di queste pagine
morte, di un campo lungo e morto di fiori dove, con noi sotto
abbracciati ancora, affondano come sudari bianchi le cordigliere.
Da Inri
Come un sogno
Andiamo: non hai voluto sapere niente di
quel Deserto maledetto – ti ha fatto
paura io so che ti ha fatto paura
quando hai saputo che si era
internato per quelle luride
pampas – certo non hai voluto
sapere niente ma ti si è sbiancata
la faccia e insomma
dimmi: credevi che fosse roba
da poco infilarsi là dentro per
poi tornare dal suo stesso
mai rigirato disteso
come una pianura a noi di fronte.
Da Purgatorio
Torturati
Niente non si sente niente se urlavano i torturati
dell’Unità 420 sotto il crepuscolo insanguinato nudi
tremando
Davanti ai moli che sembrano fluttuare nella sanguinante
aurora davanti alle stesse smantellate navi della baia
davanti allo stesso ferro di cavallo insanguinato
dell’oceano
Dove esistono solamente alcuni moli diroccati
e in fondo gli stessi detriti le stesse squadre
ammuffite gli stessi torturati nudi è che volevamo
sentirti dirigere le grandi mareggiate del Pacifico
dicevano quelli dell’Unità 420 a Ludwig Van Beethoven
che galleggiava allontanandosi immedesimato
estraneo verso la parte più inconfessabile del tramonto.
Da Zurita. Quattro Poemi.