Poesie ritrovate

Poesie ritrovate: Frank OʼHara | L’Altrove

Francis Russell, più conosciuto come Frank, O’Hara (27 marzo 1926 – 25 luglio 1966) è stato uno scrittore, poeta e critico d’arte americano. Curatore del Museum of Modern Art, O’Hara divenne un personaggio di spicco nel mondo dell’arte di New York, della New York School, un gruppo informale di artisti, scrittori e musicisti che traevano ispirazione dal jazz, dal surrealismo, dall’espressionismo astratto, dall’action painting e dai movimenti artistici d’avanguardia contemporanei.

La poesia di O’Hara è personale nel tono e nel contenuto, ed è stata descritta come come la voce di un diario. Il poeta e critico Mark Doty affermò che la poesia di O’Hara era urbana, ironica, a volte genuinamente celebrativa e spesso selvaggiamente divertente contenente materiale e associazioni estranee ai versi accademici come le icone del campo delle star del cinema degli anni Venti e Trenta, il panorama quotidiano dell’attività sociale a Manhattan, la musica jazz, le telefonate degli amici. La scrittura dell’autore, infatti, cercava di catturare nella sua poesia l’immediatezza della vita, sentendo che la poesia dovrebbe essere tra due persone invece che tra due pagine.

Francis O’Hara nacque a Baltimora, nel Maryland, ma si trasferì in tenera età a Grafton, un sobborgo di Worcester, nel Massachusetts centrale. Da piccolo fu uno studente serio di musica e desiderava soprattutto diventare un pianista.
Frequentò l’Università di Harvard e mentre si trovava lì incontrò John Ashbery e iniziò a pubblicare poesie sull’Harvard Advocate. Nonostante il suo amore per la musica, O’Hara cambiò specializzazione e si laureò in inglese ad nel 1950.

Nell’autunno del 1951, si trasferì in un appartamento a New York City con Joe LeSueur, che fu suo compagno di stanza e talvolta amante per i successivi 11 anni. Fu durante questo periodo che iniziò a insegnare alla New School.
Fu molto attivo nel mondo dell’arte, lavorando come revisore per ARTnews e nel 1960 divenne assistente curatore di mostre di pittura e scultura per il Museum of Modern Art.

Sebbene la poesia di O’Hara sia generalmente autobiografica, essa tende a basarsi sulle sue osservazioni della vita di New York piuttosto che sull’esplorazione del suo passato. Nella sua introduzione a The Collected Poems of Frank O’Hara, Donald Allen afferma: “Frank O’Hara tendeva a pensare alle sue poesie come a una registrazione della sua vita è evidente in gran parte del suo lavoro”

Il lavoro di O’Hara fu portato per la prima volta all’attenzione del grande pubblico, come quello di tanti altri della sua generazione, dall’antologia storica e tempestiva di Allen, The New American Poetry (1960). Fu solo quando O’Hara’s Lunch Poems fu pubblicato nel 1965 che la sua reputazione guadagnò terreno e solo dopo la sua morte improvvisa il suo riconoscimento aumentò.

La sua poesia mostra l’influenza dell’espressionismo astratto, del surrealismo, della poesia russa e dei poeti associati al simbolismo francese.
Ha incorporato tecniche surrealistiche e dadaiste in un discorso colloquiale e nella sintassi flessibile di un postmodernismo coinvolgente e democratico. Il suo argomento speciale era l’incontro della sensibilità attiva con il mondo circostante attraverso una fantasia stravagante, uno spirito pronto e un realismo dettagliato dei sentimenti. Il risultato, una miscela unica di elementi, gli è valso un posto memorabile nella poesia americana.
Ashbery disse: “La poesia che significava di più per lui quando iniziò a scrivere era quella francese – Rimbaud, Mallarmé, i surrealisti: poeti che parlano la lingua di tutti i giorni nel sogno del lettore – o quella russa – Pasternak e soprattutto Mayakovsky, per il quale captò quello che James Schuyler ha chiamato urlo intimo.”

Come parte della New York School of poetry, O’Hara in una certa misura incapsulava la filosofia compositiva dei pittori della New York School. Il concetto di Frank O’Hara della poesia come cronaca dell’atto creativo che la produce è stato rafforzato dalla sua esperienza intima dei grandi dipinti di Pollock , Kline e de Kooning della fine degli anni ’40 e primi anni ’50 e del realismo fantasioso di pittori come Jane Freilicher e Larry Rivers.

Le prime poesie di OʼHara mostrano molte delle promesse e della brillantezza successivamente mantenute. Nonostante il metodo di composizione un po’ casuale per cui in seguito divenne famoso e l’aria colloquiale o la disinvoltura di quelle poesie stesse, OʼHara fu fin dall’inizio un poeta abile e competente, ben consapevole, se non sempre rispettoso, della lunga tradizione del mestiere.

L’interesse più persistente dell’autore, tuttavia, era l’immagine, in tutta la sua repentinità, giustapposta a un’immagine altrettanto improbabile, seguendo tecniche non dell’Imagismo ma quelle perfezionate dai surrealisti francesi. Questo periodo di sperimentazione e apprendimento (anche se le imitazioni e le parodie continuarono) sfociò in un interesse per la poesia francese post-simbolista, in particolare quella di Guillaume Apollinaire e più tardi Pierre Reverdy, insieme al surrealismo ruggente e dalla voce grossa di Vladimir Mayakovski. Allo stesso tempo, l’innata americanità di O’Hara fu incoraggiata da scrittori come William Carlos Williams e Marianne Moore, insieme al colloquiale WH Auden, che sentiva essere un poeta americano nel suo uso del vernacolo.

Frank OʼHara lasciò testimonianza di un’intelligenza attiva e di un corpo di poesia che ha sfidato le norme della forma poetica e ha ripreso l’attività della creazione con i normali eventi dell’impresa quotidiana.

Bere una coca con te

è ancor più divertente che andare a San
Sebastian, Irun, Hendaye, Biarritz, Bayonne
o star male di stomaco sulla Travesera de
Gracia a Barcellona
un po’ perché con la tua camicia arancio sembri
un più beato più felice San Sebastiano
un po’ per il mio amore per te, un po’ per il tuo amore per lo yogurt
un po’ per i tulipani arancio fluorescente
attorno alle betulle
un po’ per la segretezza dei nostri sorrisi di
fronte a persone e statuaria
è dura credere quando son con te che ci possa
essere qualcosa di tanto statico
tanto solenne o spiacevolmente definitivo
quanto la statuaria quando dritto davanti a
questa
nella luce calda delle quattro di New York
scivoliamo avanti e indietro
tra l’uno e l’altro alla deriva come un albero che respira dagli occhiali

e la mostra di ritratti sembra non aver neanche una faccia, solo pittura
che improvvisamente ti chiedi perché qualcuno al mondo li abbia mai fatti

guardo
te e preferisco guardar te che tutti i ritratti del mondo
eccetto eventualmente per il Cavaliere Polacco raramente e comunque sta al Frick a cui grazie al cielo non sei già stato così ci possiamo andare assieme la prima volta e il fatto che ti muovi così stupendamente più o meno mette a posto il Futurismo
giusto come a casa non penso mai al Nudo che

Scende una Scala o alle prove a un solo disegno
di Leonardo o Michelangelo che una volta mi stendeva
e che bene gli fa tutta quella ricerca degli
Impressionisti
quando non han mai preso la persona giusta per stare di fianco all’albero quando il sole calava
o se è per questo Marino Marini quando non ha scelto il cavaliere attentamente
quanto il cavallo

sembra che siano stati tutti deprivati di una
qualche meravigliosa esperienza

che non andrà sprecata con me che è la ragione per cui te lo sto dicendo. 

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