Non era previsto che sopravvivessimo

Non era previsto che sopravivessimo: Sulpicia | L’Altrove

Sulpicia (I sec. A.C.) una delle poche poetesse dell’antica Roma la cui opera sopravvive, è stata identificata come la nipote dell’amico di Cicerone Servio Sulpicio Rufo, il cui figlio con lo stesso nome sposò Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino, un importante politico e mecenate della letteratura che lanciò anche la carriera di Ovidio. Se questo è corretto, la famiglia di Sulpicia era composta da cittadini benestanti con legami con l’imperatore Augusto, poiché suo zio Messalla (console nel 31 a.C.) prestò servizio come comandante di Augusto. Tali informazioni le ricaviamo proprio dai versi che ci sono pervenuti.

L’opera sopravvissuta di Sulpicia è costituita da sei brevi poemi elegiaci, che sono stati conservati come parte di una raccolta di poesie: il libro 3 del Corpus Tibullianum, una raccolta di carmi dei poeti del circolo di Messalla, inizialmente attribuita a Tibullo. Le poesie sono indirizzate a Cerinto.

Cerinto era molto probabilmente uno pseudonimo, nello stile dell’epoca (come Lesbia di Catullo e Cinzia di Properzio). Talvolta si è pensato che Cerinto si riferisse al Cornutus a cui si rivolge Tibullo in due delle sue Elegie, probabilmente l’aristocratico Caecilius Cornutus. La somiglianza nelle consonanti e la somiglianza tra il greco keras (“corno”) e il latino cornu (anche “corno”) sono tra gli argomenti citati a favore di questa identificazione. Le critiche recenti, tuttavia, hanno teso ad evitare di tentare di identificare Cerinto con una figura storica, preferendo invece notare le implicazioni letterarie dello pseudonimo.

Alcuni critici, Hubbard in particolare, hanno contestato l’idea che le poesie di Sulpicia siano state scritte da una donna. In una panoramica della critica sulpiciana, la studiosa Alison Keith descrisse la logica dell’articolo di Hubbard come “tortuosa” e sottolineò anche i problemi nei tentativi di Holzberg e Habinek di cancellare la paternità femminile. Al contrario, la critica Judith P. Hallett sostiene l’opportunità di aumentare il numero di poesie attribuite a Sulpicia per includere le poesie 8-12 del Corpus Tibullianum, che erano state precedentemente attribuite a un amicus Sulpiciae (amico di Sulpicia). Laurel Fulkerson, nel suo commento del 2017 all’Appendice Tibulliana, presenta argomentazioni su entrambi i lati del dibattito e conclude che, sebbene alla domanda non si possa rispondere sulla base delle prove esistenti, “molto si guadagna e poco si perde, nel trattare la poesia di Sulpicia come una voce femminile autenticamente recuperata dall’antichità”. Un altro commentatore recente, Robert Maltby, pur non escludendo che le poesie possano essere state scritte da una donna, ritiene che risalgano ad un’epoca molto successiva e non possano essere attribuite alla nipote di Messalla.

Mentre gli accademici tradizionalmente consideravano Sulpicia un’autrice dilettante, questa visione fu contestata da Santirocco in un articolo pubblicato nel 1979, e successivamente il merito letterario di questa raccolta di poesie è stato esplorato più a fondo.

La poesia di Sulpicia

Le sei poesie di Sulpicia sono tutte molto brevi: rispettivamente 10, 8, 4, 6, 6 e 6 versi. Ciononostante raccontano la storia completa di una storia d’amore con tutti gli avvenimenti consueti: l’innamoramento, la separazione temporanea, l’infedeltà di uno dei partner, la malattia dell’altro e la riaffermazione dell’amore. Come sottolinea Maltby (2021), c’è una struttura ad anello ordinata nella serie: “Il rimpianto di nascondere la sua passione nella poesia conclusiva 18 riecheggia la sua volontà di rivelare finalmente il suo amore nell’introduzione 13”.

Come già affermato, queste poesie compaiono nel Corpus Tibullianum come poesie da 3.13 a 3.18; esse sono precedute da cinque poemi conosciuti come la Ghirlanda di Sulpicia, che riguardano lo stesso rapporto tra Sulpicia e Cerinto.

Di seguito alcuni testi:

Dall’ Amicus Sulpiciae

È giunto finalmente il mio amore:
È giunto finalmente il mio amore:
averlo tenuto nascosto, motivo di vergogna
sarebbe per me, più che se a tutti
l’avessi svelato nella sua nudità.
Sono stati i miei versi
ispirati dalle Muse a convincere
Venere Citerea a portarlo a me
e a consegnarlo nelle mie braccia.
Venere ha mantenuto le promesse:
e racconti pure la mia gioia chi
si sa che non ne ha fatto esperimento.
Non vorrei a tavolette sigillare
affidare alcune mie parole,
perché nessuno le deve leggere
prima del mio innamorato.
Ma dolce m’è peccare
e disdegno atteggiamenti a virtuosa:
si dirà che sono una ragazza
Si dirà che lui fu degno di me, che io fui degna di lui.


Elegia XVII

Hai veramente a cuore, Cerinto, la fanciulla amata,
ora che la febbre tormenta il mio corpo ammalato?
E certo io vorrei guarire da questo male oscuro,
solo se ritenessi che pure tu lo vuoi.
Che mi gioverebbe guarire,
se tu con cuore indifferente
puoi sopportare le mie sofferenze.


Elegia XVIII

Luce mia, possa io non esser più
la tua ardente passione
come credo di esser stata
in questi ultimi giorni se io,
in tutta la mia giovinezza,
ho mai commesso una sciocchezza,
di cui io possa confessare
di essermi più pentita,
quella di averti lasciato solo
la scorsa notte,
per volerti nascondere
il desiderio che ho di te.

Visualizzazioni: 58

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *