Recensione: “Il paese invisibile e il passo per inventarlo” di Roberto Marconi | L’Altrove
In origine, questo mio lavoro, avrebbe dovuto prendere la forma di una breve recensione, ma la qualità e la quantità della scrittura e dei temi contenuti nella silloge di Roberto Marcòni hanno impedito che il testo assumesse tale forma, si è perciò pensato fosse più consona una nota critica. Il livello della raccolta Il paese invisibile e il passo per inventarlo (Arcipelago Itaca Edizioni), è altissimo, merce rara nell’editoria d’oggi, a garanzia di ciò la prefazione del professore universitario e poeta di fama internazionale, Umberto Piersanti, che ho avuto il piacere di avere come insegnante nel suo ultimo anno di docenza urbinate e della quale produzione poetica mi sono nutrito in particolar modo in questi ultimi anni.
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Il paese invisibile e il passo per inventarlo è in prima battuta un inno patrio, con tale termine si intende però la propria terra, quella natia, la terra dei propri padri, che è narrata dal conto mitico che spesso si fa leggenda. La patria di Marconi non è l’Italia, ma la realtà microcosmica di Potenza Picena, che nel luogo il proprio io rispecchia e viceversa. I luoghi fisici, in Marconi, sono anche i luoghi dell’anima, dove ogni componimento corrisponde quasi a un girone dantesco, sì, proprio dantesco, poiché il poeta spesso narra i fatti con un occhio da antropologo, quasi sociologo, ripercorre la storia di Potenza Picena, ricostruendo la storia del proprio io, attraverso il potente mezzo del ricordo, ove molti ricordi sono legati a personaggi, spesso caratteristici, quasi margutteiani, che però il poeta non nomina mai, per rispetto o forse per paura, indicandoli solo con le iniziali. Nella raccolta c’è anche molto di Calvino, a partire dall’evidente richiamo nel titolo all’opera Le città invisibili, ma le occorrenze non si esauriscono qui.
Leggendo Marconi, si comprende subito come egli abbia divorato molta narrativa e poesia, e come esse siano presenti all’interno dei componimenti. Nella critica alla globalizzazione che il poeta costruisce attraverso i suoi componimenti, molto è presente il Calvino di Lezioni americane e di Una pietra sopra. In Marconi tale critica, essendo espressa poeticamente, sembra essere quasi ritmata, con un andamento ascendente. L’apax ti tale critica è toccato con la denuncia alla “cementificazione dei pannelli solari”. Il Marconi, un po’ come un moderno Celentano di Il ragazzo della via Gluck (1966), si rende conto di quest’avanzare prepotente degli impianti fotovoltaici nella campagna marchigiana, un po’ come era stato per il cantautore milanese assistere a quella cementificazione incontrastata. L’eccezionalità e l’eccellenza del poeta di Potenza Picena sta anche nell’essere un poeta nazionale raccontando il territoriale; la propria terra, il proprio io non lo limitano, anzi lo fanno assurgere alla grandezza. Come detto anche nella prefazione da Piersanti, Marconi non scade mai nella dimensione aneddotica e provinciale, propria di tanti poeti della Marca. Egli non si lascia mai sopraffare dalla propria “patria poetica”, come spesso accade ad altri autori.
tu prendine uno non il primo manco il secondo
di paese prendi il tuo e fai la prova usando né
fiere né rifiuti speciali come son spesso le neo-
imprese: una serie per inventare per diventare
come un cielo in cerca di stelle tutto l’anno in
pratica una comunità di quartiere o libro aperto
quando offrivo ogni sasso in comune seminato
dalla spiaggia o donato dalla ghiaia. Poi venivo
dileggiato. Immagina quanto sarebbe contro-
indicativo governare non sapendo la storia.
Nell’incipit del presente componimento sembrerebbe forte anche il richiamo al paesologo Franco Arminio, sempre attento alle piccole realtà rurali e alla loro progressiva desertificazione. Però in Marconi la paesologia non è legata al territorio, ma all’anima, quello di cui ci parla il poeta è sempre un paese dell’anima, un territorio interno, spesso imperscrutabile, ma aperto al raccontarsi. Tornando alle illuminanti parole di Piersanti, Potenza Picena non è un luogo da raccontare, ma «uno spazio privilegiato da dove guardare e riflettere sul mondo e l’esistere in quanto tale» .
Concludo lasciandovi con uno dei componimenti che più mi ha colpito, poiché meglio di ogni altro spiega cos’è questa silloge:
questo è un camminamento prendendo alla
lettera le parole in movimento: ci si sposta
dal mare al prato alla salita ci si fa giostra
cercando il perno che la guida poi si torna
in discesa per un bagno per un rapimento
vinti dalla vettitudine chiamati magari da una
vigna come vittime liete d’una spaginatura
è un moto in luogo di centinaia di millesimi
di secondo alla velocità d’una lumaca
che dopo un km gl’è parso una vita:
lascia la scia e scompare dentro a un
camion di piante e diserbanti per vivaisti
in giro per il mondo ma è tra gl’ultimi
invenduti di vasi e torna la sera alla serra.
A cura di Riccardo Renzi.