Poesie ritrovate: June Jordan | L’Altrove
Una delle scrittrici giamaicane più ampiamente pubblicate e acclamate della sua generazione, è stata la poetessa, drammaturga e saggista June Jordan, nota anche per il suo impegno per i diritti umani e l’attivismo politico.
Nel corso di una carriera che ha prodotto ventisette volumi di poesie, saggi, libretti e lavori per bambini, Jordan affrontò le lotte fondamentali della sua epoca, quelle per i diritti civili, i diritti delle donne e la libertà sessuale. Scrittrice prolifica di tutti i generi, la poesia di Jordan è nota per la sua immediatezza e accessibilità, nonché per il suo interesse per l’identità e la rappresentazione dell’esperienza personale e vissuta: la sua poesia è spesso profondamente autobiografica. Il lavoro di Jordan spesso immagina anche una nozione radicale e globalizzata di solidarietà tra gli emarginati e gli oppressi del mondo. In volumi come Some Changes (1971), Living Room (1985) e Kissing God Goodbye: Poems 1991-1997 (1997), Jordan utilizza l’inglese conversazionale, spesso vernacolare, per affrontare argomenti che vanno dalla famiglia, alla bisessualità, dall’oppressione politica, all’identità razziale e alla disuguaglianza.
Considerata una delle figure chiave dell’ambiente sociale, politico e artistico americano della metà del secolo, Jordan insegnò in molte delle università più prestigiose del paese, tra cui la Yale, la State University of New York-Stony Brook e l’University of California-Berkeley, dove fondò la Poetry for the People.
Nata il 9 luglio 1936 ad Harlem, New York, June Jordan ebbe un’infanzia difficile e un rapporto particolarmente teso con suo padre. I suoi genitori erano entrambi immigrati giamaicani e, come ricordò in Civil Wars: Selected Essays, 1963-80 (1981), “per molto tempo durante l’infanzia sono stata relativamente piccola, bassa e, in qualche modo, un bersaglio per gli abusi del bullismo. In effetti, mio padre è stato il primo bullo regolare della mia vita.” Ma nonostante ciò fu proprio durante la sua infanzia che primi anni che iniziò a scrivere. Sebbene diventare una poetessa “non contasse” per i suoi genitori, questi mandarono l’adolescente Jordan alle scuole di preparazione dove era l’unica studentessa nera. I suoi insegnanti incoraggiarono il suo interesse per la poesia, ma non la introdussero al lavoro di nessun poeta nero. Dopo il liceo June si iscrisse al Barnard College di New York City. Benché le piacessero le lezioni e ammirasse molte delle persone che incontrava, si sentiva fondamentalmente in disaccordo con l’ambiente prevalentemente bianco e maschile e lasciò Barnard per studiare all’Università di Chicago.
Nel 1955, Jordan sposò Michael Meyer, uno studente della White Columbia University. All’epoca i matrimoni interrazziali incontravano una notevole opposizione e June e suo marito divorziarono dopo dieci anni e mezzo. Più o meno nello stesso periodo, la sua carriera iniziò a decollare. Nel 1966 iniziò ad insegnare al City College della City University di New York, e nel 1969 pubblicò il suo primo libro di poesie, Who Look at Me. Rivolto ai giovani lettori, il libro era originariamente un progetto di Langston Hughes. La poeta era fortemente convinta dell’uso dell’inglese “nero”, vedendolo come un modo per mantenere viva la comunità e la cultura nera. Incoraggiò quindi i suoi giovani studenti a scrivere in quell’idioma attraverso i suoi laboratori di scrittura per bambini neri e portoricani. Con Terri Bush, curò una raccolta di scritti dei suoi giovani allievi, The Voice of the Children; curò anche l’enormemente popolare e influente Soulscript: Afro-American Poetry (1970; ristampato nel 2004).
Nel corso della sua lunga carriera, June Jordan si guadagnò fama sia come saggista che come scrittrice politica, scrivendo una rubrica regolare per il Progressive. In Some of Us Did Not Die: New and Selected Essays of June Jordan (2002), pubblicato lo stesso anno della morte dell’autore per cancro al seno, Jordan presenta trentadue saggi precedentemente pubblicati. I saggi esaminano una vasta gamma di argomenti, dal sessismo, al razzismo, dall’inglese nero ai viaggi che l’autrice fece in vari luoghi, poi il declino del sistema educativo statunitense e gli attacchi terroristici a New York e Washington, l’11 settembre, 2001.
June Jordan passò la sua vita a ricucire il personale e il politico in modo che le cuciture non si vedessero. In un’intervista le fu chiesto chiesto del ruolo del poeta nella società. Rispose: «Il ruolo del poeta, a partire dalla mia esperienza d’infanzia, è meritare la fiducia di persone che sanno che quello che fai è lavorare con le parole». «Sii sempre il più onesto possibile e stai il più attento possibile alla fiducia riposta in te. Quindi il compito di un poeta di colore, un poeta nero, come popolo odiato e disprezzato, è quello di raccogliere lo spirito della tua gente…»
Di seguito alcune poesie.
A volte il chiaro arriva nel buio
Sposto il mio corpo sul lato
dove il tuo stava prima
dormendo
o sussurrando
o surriscaldato
dove tu non ci stai
ora
o per sempre
vicino
a me
Tre tanka
I
Caduta in strada
Donna negra che lotta con l’aria
Capelli e denti insanguinati
Neanche centesimi nelle sue tasche
Passano i ricchi senza vederla
II
Il campesino
sgobba tutto il giorno nei campi
fragole fioriscono
strana paga per sforzi e sudore
Il buio lo copre di pioggia
III
Quello che mi necessita ora
dato che l’acqua sale
Quello che mi necessita ora
dopo il collasso furioso
del corpo, un’onda nuova immediata