“L’ardente agonia delle rose”: Intervista a Raffaela Fazio | L’Altrove
Riemerge dopo anni la poesia di Renée Vivien, grazie alla nuova raccolta pubblicata da Marco Saya Edizioni con le traduzioni a cura di Raffaela Fazio.
L’ardente agonia delle rose è un’antologia accurata e moderna che ripropone i versi della Musa delle viole in una nuova ed inebriante luce, così da poterla riscoprire e apprezzare.
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Per l’occasione abbiamo avuto il piacere di parlare con Raffaela Fazio, la traduttrice, e di farle alcune domande.
Ti ringraziamo Raffaela per la disponibilità. Dar voce, nuovamente, a Renée Vivien cosa ti ha suscitato?
Darle nuovamente voce mi ha procurato il piacere di chi sa che sta “maneggiando” qualcosa di delicato, e ne avverte sia il privilegio, sia la responsabilità. Renée Vivien è una grande poetessa e una donna complessa, che non ha avuto una vita felice, un po’ per indole, un po’ per sfortuna, un po’ per il tempo in cui ha vissuto. Ha conosciuto pregiudizi ed esclusioni. Anche dopo la sua morte è stata spesso etichettata per la sua omosessualità. Ma ogni etichetta è riduttiva. E lo è soprattutto nel caso di Rénée. Riportare all’attenzione dei lettori italiani la bellezza della sua poesia, figlia del decadentismo e del simbolismo dell’epoca, ma anche innovatrice per la forza espressiva e la libertà con cui si apre al tema amoroso/erotico, è una sfida che ho raccolto con convinzione. Spero che chi si accosterà al cromatismo di questa scrittura ne trarrà lo stesso beneficio che ne ho tratto io.
Quali difficoltà hai incontro nel tradurre la sua poesia?
Le difficoltà nella traduzione della poesia di Renée Vivien sono al tempo stesso gli aspetti che più mi hanno spinta a cimentarmi in questo esercizio. È avvenuto qualcosa di simile con l’autore di cui mi sono occupata precedentemente: Edgar Allan Poe (in “Nevermore. Poesie di un Altrove”, pubblicato nel 2021 sempre con Marco Saya Edizioni). Nel caso sia di Poe che di Vivien, ho ritenuto che ci fosse spazio (e senso) per un ulteriore contributo a livello di traduzione rispetto a quanto già esisteva. Ogni traduttore opera scelte, impegnandosi a rimanere coerente con la propria linea. Non esiste traduzione perfetta, ma ogni nuova traduzione dovrebbe apportare qualcosa di originale e di convincente. Personalmente, per entrambi gli autori, mi sono prefissa di prestare una ferrea attenzione alla musicalità, al ritmo. Mi è sembrato giusto farlo perché si tratta di una poesia non tanto di “concetto”, quanto di immagini a effetto emotivo immediato, incantatorio, veicolate dalla sonorità dei versi. La difficoltà è stata dunque questa: tentare di riprodurre l’impatto fonico, rispettando il modello originario in ciascuna delle sue parti, sempre rimanendo fedele a senso, sentire e suggestione del testo di partenza. Nella resa italiana, soprattutto tramite consonanze e assonanze, ho dunque sistematicamente aderito allo schema francese delle rime, come pure alle iterazioni e alle pause interne del verso (spesso nell’equilibrio degli emistichi). Riproporre all’orecchio italiano la rima dell’originale (o quanto ad essa più somiglia) significa, a mio parere, non solo rispettare l’intento dell’autore, ma anche lo spirito di un’epoca sensibile ad accorgimenti stilistici molto diversi dai nostri, che non possono essere trascurati se di tale epoca si vuole recuperare intatto il fascino.
Oltre al tuo lavoro di traduttrice, sei anche una poeta. A tuo avviso, l’esperienza della scrittura poetica influisce sulla pratica di traduzione? Se sì, in che modo?
Sì, sicuramente il fatto che io stessa scriva poesie influisce sulla mia pratica di traduzione poetica. Non nel senso che io sia tentata di innestare il mio stile su quello del testo originale, ma nel senso che la familiarità con la scrittura in versi mi aiuta a trovare gli escamotages giusti per arrivare a una forma esteticamente soddisfacente. Per evitare una trasposizione prosaica della poesia da tradurre, è utile ad esempio essere allenati alla musicalità e alla sintesi, come pure al peso che ogni parola può avere nelle intenzioni dell’autore (ad esempio se usata più per il suo suono, per la sua forza evocativa o per il concetto che veicola). Praticare la scrittura poetica rende forse più semplice trovare un equilibrio tra rigore e creatività anche nella traduzione, se ovviamente si tratta di traduzione di poesie.
E le opere che hai tradotto ti hanno mai influenzato?
Le opere che ho tradotto mi hanno sicuramente arricchito a più livelli, ma non hanno influenzato la mia scrittura. Anche perché, mentre scrivo poesia da quando ero bambina, ho iniziato a tradurre (ovviamente) molto più tardi.
Traduzione è tradimento?
Certo, traduzione è anche (un po’) tradimento. Non a caso, quando si parla di traduzione, si parla di “fedeltà”. Essendo la traduzione una riscrittura, la fedeltà non sarà mai assoluta: si dovrà scegliere piuttosto una scala di priorità, capendo, di volta in volta, a cosa si voglia rimanere più fedeli. Fermo restando che la traduzione di una poesia dovrebbe produrre un testo che risulti, anch’esso, poesia, personalmente ritengo che esistano quattro elementi irrinunciabili: la creazione di una musicalità che suggerisca quella di partenza, la rievocazione delle stesse immagini, la resa concettuale che non tradisca il pensiero sottostante con le sue sfumature e, legato a quest’ultima, il rispetto del lessico originale senza “invenzioni” che modifichino il significato. Questi quattro elementi hanno però, a seconda del testo e dell’autore, un peso variabile nel loro rapporto. Va poi anche tenuto conto del fatto che, in base alla lingua di partenza, possono esserci termini ambigui e polisemici, o addirittura “intraducibili” (o meglio traducibili solo ricorrendo a espedienti più o meno ricercati). Alla luce di tutto ciò, ogni buon traduttore sa che, oltre alla sua “intima intesa” con l’autore tradotto a livello emotivo, non potrà fare a meno di disciplina e di umiltà, perché non esiste corrispondenza totale tra due sistemi di pensiero e di espressione, e qualcosa sarà inevitabilmente perso per strada.
Di seguito un breve selezione di testi da L’ardente agonia delle rose:
Ondina
Chiaro è il tuo riso, la carezza profonda.
Freddo il tuo bacio ama il male che procura.
Blu è il tuo occhio come loto sull’onda.
Accanto alla fronte, la ninfea è meno pura.
Fugge la tua forma, l’andatura è fluente,
somigliano i capelli alle leggere reti;
ruscella la tua voce quasi infido torrente;
molli le tue braccia son simili a canneti,
sono lunghe canne di fiumi, la cui stretta
allaccia, preme il collo, è un’asfissia sapiente,
mentre un’agonia laggiù in fondo ai flutti
si estingue in un lento, notturno svenimento.
Studi e preludi, 1901
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La sete impellente
Ieri vagavo, solitaria viandante.
Un’ansia amara in cuore mi portavo…
Mi eri essenziale, quale rivo estivo
che scorre puro e s’offre dissetante.
Il mio silenzio ha calme gioie adesso.
È la mia anima una coppa piena.
Il mondo è bello: frutteto a Mitilene.
Pianga pure la sera sotto i tassi!
Mi eri essenziale, o tu, acqua fluente che si ascolta e che culla grandi pene
nel ruscellare armonico, sereno…
La voce chiara, tua, acqua che canta.
Era la voce sia ritmo sia sussurro.
O cara, mi pervase il blu notturno,
si sciolse il mio dolore taciturno
alla tua pura voce, acqua che scorre.
Bianco e pesante, il meriggio ora m’incanta.
La sete più non teme il sole irato.
Mi eri essenziale, o tu, rivo d’estate,
mi eri essenziale, o tu, acqua che canta…
All’ora delle mani giunte, 1906
Deplorevole amore
L’Amore m’infligge la sua atroce legge, perché
mi attira verso quello che più temo, verso Te!
Tu eri e sarai sempre l’Ignota mia nemica…
Ti adoro mentre piango, o così perfida amica!
Del mio crudele tormento ecco infatti il motivo:
non saprò mai lo sguardo dell’anima tua furtiva.
Per questa ragione ti odio, e per questo io ti temo…
altri occhi, altre mani, un amore diverso ora chiamo
e soprattutto, per calmare il lamento che sale
dal mio stanco cuore, un sogno, un sogno celestiale!
In un angolo di violette, 1910