Poesie ritrovate: Aldo Palazzeschi | L’Altrove
Nato a Firenze il 2 febbraio 1885, Aldo Giurliani si diede alla letteratura dopo aver frequentato una scuola di recitazione insieme a Moretti, di cui divenne grande amico; assunse lo pseudonimo Palazzeschi desumendolo dal cognome della nonna.
Dopo i primi libri di poesie, legati al crepuscolarismo, aderí al futurismo, elaborando alcuni dei testi piú liberi e originali dell’intero movimento: fece da raccordo tra Marinetti e il gruppo di «Lacerba», ma si allontanò dal futurismo già nel 1914, quando questo scatenò la sua violenta battaglia interventista. Rimase estraneo al fascismo, impegnandosi soprattutto in un’attività di narratore, che gli guadagnò i favori del pubblico; collaborò dal 1926 al «Corriere della Sera» e da Firenze partí per lunghi soggiorni a Parigi. Si trasferí nel 1941 a Roma e nella vecchiaia visse un nuovo momento di felice creatività. Morí a Roma il 18 agosto 1974.
Palazzeschi attraversa l’esperienza dell’avanguardia di inizio secolo, quella del «ritorno all’ordine» degli anni Venti e ancora la ripresa sperimentale delle avanguardie degli anni Sessanta, con una sua inconfondibile e quasi cinica giocondità, con un nichilismo generoso ma non privo di un che di enigmatico e di inafferrabile. Nelle piú diverse situazioni egli si diverte a trarre alla luce sproporzioni e incongruità, in un’irridente distruzione dei rapporti normali tra le cose: ma la sua distruzione è paga di potersi concentrare sugli oggetti, e conserva sempre un’estrema riserva su di sé, sul proprio valore e sui propri limiti.
La sua prima fase creativa è concentrata sulla poesia, da lui quasi completamente abbandonata negli anni Venti, quando si dedicò all’ordinamento delle liriche già apparse nel volume Poesie; ma una prima sistemazione della sua produzione poetica si era avuta nella raccolta L’Incendiario. I testi legati al crepuscolarismo mostrano un gusto per la ripetizione e per la cantilena, che tende già a svelare la gratuita nullità della parola e della posizione stessa del poeta, presentato nella celebre poesia Chi sono? come «saltimbanco», secondo un motivo del resto molto diffuso nell’arte e nella cultura tardo-ottocentesca. Lo spontaneo avvicinamento di Palazzeschi al futurismo fa esplodere all’estremo la sua aspirazione a trasformare la parola in puro divertimento. Le cose piú minute, i paesaggi piú semplici e convenzionali, le situazioni umane piú banali, tutto si risolve in elementare insensatezza, in un meraviglioso che vuole essere privo di ogni valore e di ogni aura. Palazzeschi trasforma la poesia in cantilena e filastrocca, sciorinamento di «corbellerie»: in tal modo ridicolizza tutte le etichette sociali, le presupposizioni di valori, le esaltazioni programmatiche della poesia e della cultura del tempo.
Palazzeschi non si lascia, però, catturare dall’invasamento energetico dei futuristi, dalla loro esaltazione della modernità: lo scrittore fiorentino rifiuta ogni proposizione di nuovi valori, non mira a una poesia che collabori al percorso della storia, ma solo a un’esperienza poetica liberata in una assoluta evanescenza. Per questa strada giunge al risultato migliore della narrativa futurista con Il codice di Perelà.
Dopo la rottura con il futurismo, Palazzeschi si mosse verso una narrativa piú tradizionale, piú legata a elementi realistici con le Novelle e in particolare con il suo romanzo più importante Sorelle Materassi.
Leggendo la poesia di Palazzeschi si ha l’impressione di una sorta di scrittura «automatica», come quella che i surrealisti teorizzeranno: anche se il procedimento di Palazzeschi non si può dire, in verità, del tutto automatico, perché egli cerca di ottenere al contempo anche effetti di grottesco piú tradizionali, con continue rime incongrue e altri giochi fonici ben studiati.
Ciò lo avvertiamo maggiormente in La passeggiata, formidabile componimento apparve nella seconda edizione de L’incendiario, insieme ad altri sei testi non compresi nella prima. Con il dialogo ridotto a ellittica introduzione e lapidaria conclusione del lungo elenco di ciò che appare alla vista durante una passeggiata, questa altro non è che una seduta di bricolage, giocosa raccolta di materiali eterogenei. Si tratta di un campionario inesauribile di immagini, scritte, numeri che sempre piú violentemente assedia l’abitante della città. L’assoluta prevalenza, allora come oggi, è della pubblicità commerciale, ma si fanno strada a tratti, con non minore invadenza, la politica strillata dalle prime pagine dei giornali, i numeri civici delle strade, i numeri delle linee dei mezzi pubblici, indicazioni, targhe, messaggi di ogni genere.
– Andiamo?
– Andiamo pure.
All’arte del ricamo,
fabbrica di passamanterie,
ordinazioni, forniture.
Sorelle Purtarè
Alla città di Parigi.
Modes, nouveauté.
Benedetto Paradiso
successore di Michele Salvato, gabinetto fondato nell’anno 1843.
Avviso importante alle signore!
La beltà del viso,
seno d’avorio
pelle di velluto.
Grandi tumulti a Montecitorio.
Il presidente pronunciò fiere parole,
tumulto a sinistra, tumulto a destra.
Il gran Sultano di Turchia aspetta.
Assolutamente unica, nel panorama della poesia italiana di quegli anni, è questa capacità di assumere con tanta allucinante disinvoltura gli spezzoni dei linguaggi della modernità, le schegge di una parola ridotta ormai a merce intercambiabile, a pubblicità: e di saper ricavare da questi materiali-spazzatura una sorta di meraviglioso beffardo, un’immagine in tutta evidenza della vita del presente.
Chi sono?
Chi sono?
Son forse un poeta?
No certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
follìa.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
malinconia.
Un musico allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
nostalgìa.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
dinanzi al mio core,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Chi sono? è forse il testo più conosciuto di Palazzeschi. Irriverente ed ironico, rifiuta il ruolo tradizionale del poeta, si definisce acrobata ed intrattenitore. Quelle tre parole-chiave in rima (follia, malinconia e nostalgia) riassumono la sua poetica in tutto e per tutto, diversa e antietica; egli è un saltimbanco in capriola tra risata e crisi.