Inediti di Leonardo Taverni | L’Altrove
I-
Non vi credo, Io, se dell’alba vedete la luce e
non la luce in schermo. Ahia per i sommersi che credono alla favola ed io per primo son sommo relitto in favola, nuova e vecchia, relitto d’un mare secco e sempre vaporoso. Nebbiano tra le piaghe terre e s’arrotolano i vapori su e ancor più sulla mia testa, son benda larga e molle che s’arriccia e culla la vista. Son tanti i vapori che par quasi che
il mare secco non d’acqua sia pieno, ma di vapori e nebbia. Sul fondo io son relitto che par, per te lettore che m’osservi in costa, navigar nel tanto mare.
Son relitto di ferro e carne, e tu, che in terra
stai, dimmi se vedi quel faro che tanto s’augura! Non torre alta e larga, ma piccolo faro che par quasi candela, sempre accesa, nelle tasche delle mille e dei mille. Sì quel che tieni stretto al giorno e t’accompagna la sera è il faro mio nel tanto mare. Sì quel che rimproveri come mezzo e moraleggi è
la tua mano e l’occhio per ogni cosa. E altro non possiamo dire se non che è nostro e solo nostro.
Un telefono per poter navigar fermo nel tanto
mare, sì che le reti son viaggi e sì che tutti son
naviganti. Tu che in terra stai col libro in mano sei fermo e ancor più ancorato di me. Ora ho un telefono per candela, vapori sulla mia testa e una benda larga e molle che s’arriccia e culla la vista. Quest’ultimo son io e quell’ultimo son io.
Una coda macchina le strade
È lì ferma e piana romba
E batte sopra grigio il cumulo.
Ahia per l’unghie battenti
Tra i volanti fermi,
Ahia pel sole stento
Che fredda la ferie operaie
E quasi quasi c’è mare…
Arrivammo col vento in naso
E vidi i sassi levigate
Quanto i calvi spiaggiati
Con le burle d’infanti.
Il nuvolo alto e fiero
E il sole? E sì che c’è
Il telefono l’ha detto…
Con l’onde leviganti
Son sasso che s’inalga
Verde a mare, ed anzi
Son più vetro spezzo
Che leviga leviga ora
È già tutt’intero
Né bottiglia né pezzo.
Ahia pel cumolo nero
Che tutti l’attendono
Come sole giugno…
Un telefono l’ha detto
E quasi quasi s’è fatto cielo.
Bisogna che io breva il fiato
Tra le tante onde schegge e nebbie
E brandelli parole in mozzi
Fumati d’indizi:
-che Oltraggio!-
Potessi tornar col passo fermo!
E invece no. Così briciola
Una sillaba il labbro bianco
Secco d’arie pese,
Secco d’un gregge d’ore perse!
Bisogna sì che faccia questo,
E i mozzi siano pepite
In circo tra gli ondoni tremuli
E l’attendo un ramo becco…
Briciola il labbro bianco e poi
Oltraggio e poi Oltraggio.
L’AUTORE
Leonardo Taverni nasce a Narni nel 1998. Residente a Terni, ma, dal 2017, vive a Bologna come studente universitario, laureato in Lettere Moderne con una tesi in Letteratura Italiana Contemporanea su Elio Vittorini (La «Prosa speciale» di Conversazione in Sicilia, un confronto con la poesia: analisi stilistica dell’opera, con il professore Stefano Colangelo) e attualmente laureando magistrale in Italianistica. Al presente collabora con il semestrale di poesia «Metaphorica» diretta da Saverio Bafaro.
Un commento
Filippo Ruggieri
bella