Estratti ed Inediti

Inediti di Carlos David Danieli | L’Altrove

Esser vorrei come timido zefiro,
ma forse più simile a stormo
di caprimulgi in cielo tonanti,
il mondo teso veloce trapasso;
lieve a guisa di fiocco di neve
frisar il collo vorrei, pispigliarti dolcezze.
Eppur quel che solo so offrire
son aguzze puntute asprezze,
sovraccariche tutte
di troppa, troppa corrente!
E non si placa nel testo, non s’acquieta mesto
il sogno vivo di saettarvi ognuno,
facendomi d’innocente, peccatore del Tutto-Niente.

Oh, sì… avrei bisogno anch’io d’esser mellifluo,
ma l’affetto didentro me che covo
violento solo sa fiorire
dopo lunghi, lunghi sverni!

Perdona, tu, dunque, il mio far male,
perché invero è bene uscito storto
dalla parola, siccome il corpo;
attingi tu alla falda del pozzo
e non temer sua scura fondità,
perché darà sempre l’acqua/se stesso
a chiunque paziente attender sa.


I

Tanta melanconia mi danno le cucine
la sera abbandonate,
con le stoviglie sporche ancora, o ben lavate,
lasciate a sospirar sino a mattina…

Le luci a led così gelate
fanno de la tavola di legno genuina
una lama d’acciar o nefelina;
povere, povere cucine alla notte mesta date!

Non si creda che mi spiaccia
in questi giardini di fornelli, pentole, forchette
stare solo a condivider l’abbandono.

Qui vo cercando ciò che di buono
la famiglia il dì promette,
e perché no, una fetta di focaccia.


II

Tanta melanconia mi danno le cucine
la sera abbandonate
coi cassetti chiusi, le teiere svuotate,
le tazze rovesciate, come a zittirle, poverine.

Li sento i lamenti, le voci strozzate
di quelle piccole cose, e le piantine
alla finestra che si sfanno piccine…
Ah, le posate, invece, le regine, son innamorate:

il coltello prega la forchetta
d’avvicinarsi un poco,
ma essa impietosita a quello dice: “non posso”.

Il cucchiaio lubrico allor s’affretta
e le chiede d’accender in lui ‘l foco,
ma la forchetta fedele gli risponde: “Non starmi addosso”.


Anima non ho nel petto

Di questo tempo io non son figlio,
un tempo scialacquato che un futuro fisso attende,
stolido perdendosi in baluginii di fervori caduchi
di bollori taciuti sopra la fiamma, o ‘l suo didentro.

Ohimè, sì che son suo figlio!!
Adombrato il volto, senza chiedere m’addentro
giorno a giorno, finché la vita passa
e tutto deflagra conflagra si contrae in ansietà.

…E sento che in me non son più vivo,
e negli altri ancor di più son morto;
alcuna anima poi si libera, s’affranca!
Quindi non dir che ho un’anima nel petto
non dir che di questo tempo io son figlio!

Eppure mi urge intenso il suo battito
a credere l’amore, a patire lo scompenso;
eppure, gravandomi, il presente a me frondeggia
un controsenso immenso di profani istinti e impulsi.
Chissà, forse germoglio in questo tempo
anch’io, e sfiorisco e rigermoglio e riapassisco;
ma un’anima non ho nel petto, perch’io non esisto,
perch’io di questo tempo non son figlio,
un tempo che fluisce a suggere ogni grida
azzittendo ‘l pensiero ed ogni suo consiglio.

L’AUTORE

Carlos David Danieli nasce nel 2000 a Tierralta, in Colombia. Nel 2005, in seguito all’adozione, giunge in Italia, e a Padova, dove vive e studia, consegue il diploma di liceo classico. Attualmente frequenta l’università presso il corso di Beni Culturali.

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