La leggenda Charles Bukowski, tra alcolismo e scrittura | L’Altrove
Los Angeles, città di eccessi, divertimento e sogni. La meta per ogni turista e avventuriero che si rispetti. Girare per la città ed entrare nel Cole’s French Dip, uno dei più antichi ristoranti, ritrovarsi nel bagno degli uomini e notare una targa di bronzo attaccata al muro con la scritta: “CHARLES BUKOWSKI PISSED HERE”.
Questa è Los Angeles, luogo di elezione di Charles Bukowski.
Come si sa, con lui, è tutto un po’ melodrammatico e pseudo-romantico, uno stato d’animo che piace a coloro che amano Bukowski leggenda piuttosto che Bukowski lo scrittore. La letteratura è piena di tali maestri di parole dediti al bere. William Faulkner aveva il suo whisky. Carson McCullers iniziava la giornata con una birra. A Dorothy Parker la New York Distilling Company ha intitolato un gin. Eppure la leggenda che persiste intorno alla figura di Bukowski è inseparabile dal suo lavoro: è il ribelle dalla vita dura e bevitore, vissuto secondo le sue stesse regole e la cui narrativa e poesia vagano nel sordido ventre dell’America.
Il bere ha segnato in maniera indelebile la vita e la scrittura del poeta, in ogni suo aspetto.
bottigliadibirra
è appena successa una cosa davvero miracolosa:
la mia bottigliadibirra è caduta all’indietro
ed è atterrata di culo sul pavimento,
e io l’ho appoggiata sul tavolo per far scendere la schiuma,
invece le foto non sono state così fortunate oggi
e c’è una piccola fessura sulla pelle
della mia scarpa sinistra, ma tutto è molto semplice:
non possiamo imparare più di tanto: ci sono leggi
delle quali non sappiamo nulla, tutti i modi per farsi notare
ci portano a bruciare o a congelare; ciò che porta
il merlo dritto in bocca al gatto
non spetta a noi dirlo, o perché alcuni uomini
sono imprigionati come scoiattolini
mentre altri si rannicchiano tra seni enormi
nelle notti senza fine – questo è il
compito e il terrore, e non ci è stato
spiegato il perché. comunque, è una fortuna che la bottiglia
sia caduta in piedi, e anche se
ne ho una di vino e una di whiskey,
questo preannuncia, in un certo senso, una bella serata,
e forse domani avrò il naso più lungo:
nuove scarpe, meno pioggia, più poesie.
Molti dei lettori di Bukowski, quasi esclusivamente maschi, cercano ancora di emularlo. Consideriamo suoi discepoli più famosi i cosiddetti ragazzacci di Hollywood come Johnny Depp e Sean Penn.
Anche le rock star adorano Bukowski, tra gli altri i Red Hot Chili Peppers e Bon Jovi. Bukowski quindi incombe nella cultura pop, ma è un’eredità complicata. Alcuni lo considerano una reliquia di trasgressività, mentre per altri è solo uno dei tanti.
Ma le sue parole sono sparse su tutto, dalle magliette, alle biografie dei profili su Tinder; forse è secondo solo a Ernest Hemingway in termini di citazioni.
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Tra le righe dei suoi libri ritroviamo un tossicodipendente, in parte spronato dai fan che esultavano per le sue buffonate. Forse credevano che fosse tutta scena, che fosse il personaggio di un copione, ma come chiarisce On Drinking (Sul bere, pubblicato in Italia da Guanda), non era così. Bukowski era malato, soffriva e il pubblico lo sfruttava. Questo non giustifica i brutti commenti che fece nel corso della sua vita sulle donne o sui neri, ma indica un problema sistemico nella cultura pop americana. Nei negozi americani è normale trovare magliette che recitano “Risparmia acqua, bevi tequila”.
Diverse volte in On Drinking scrive dell’alcol come di un modo per uscire fuori dallo standardismo della vita quotidiana, dal fatto che tutto sia uguale.
Ma On Drinking mette in forte rilievo anche la misoginia e il razzismo di Bukowski. In un’intervista, si descrive come “antinero, anche antigiallo”. I molti luoghi oscuri di Bukowski sono svelati anche da lui in persona.
“Continuo a bere birra e scotch, versandolo giù, come in un grande vuoto…”
Ai lettori importerebbe ancora di Bukowski se non fosse stato un famigerato ubriacone? Una domanda più provocatoria: sarebbe stato uno scrittore diverso se non si fosse mai versato un bicchiere di whisky o bevuto una birra prima di sedersi a scrivere?
In un’intervista del 1989, Bukowski ammette che bere non lo ha aiutato tanto quanto alcuni lettori immaginano. «Ho avuto una malattia che ha limitato il mio bere», diceva. «Così mi sono seduto e ho scritto senza la bottiglia, ed è uscito tutto lo stesso. Quindi non importa». In una lettera del 1989 allo scrittore tedesco Carl Weissner, Bukowski scrive di essere caduto dal carro al matrimonio di sua figlia e si descrive come «debole, tossisco per 12 ore di fila, non dormo, non ho appetito, sono quasi troppo debole per andare in bagno.»
Leggere la sua prima biografia significa capire perché aveva così tanto bisogno di alcol. Cresciuto nella Los Angeles tra le due guerre, soggetto a continue e folli violenze da parte dei suoi genitori prussiani (“mio padre era un mostro”), divenne un vagabondo, sottraendosi agli obblighi della vita. Fece viaggi in autobus in tutto il paese, evitando tutto tranne lavori umili e bar.
Prese quindi l’abitudine di stare nei bar tutto il giorno, trasformandosi lentamente ma inesorabilmente in un alcolizzato, un ubriacone cadente, una di quelle strane persone a cui piace fare a pugni. Alla fine avrebbe trasformato questa esistenza in uno topos letterario, ripetuto all’infinito, che gli portò la fama.
Non molte persone lo diranno, ma Bukowski dà al bere una cattiva reputazione. Eppure, nel suo periodo di massimo splendore della metà del XX° secolo, essere un alcolizzato non era una parte importante di ciò che significava essere uno scrittore e uomo? Bukowski senza dubbio era consapevole che il suo stile di vita scelto era un’imitazione piuttosto sordida e déclassé di scrittori alcolisti come Hammett e Hemingway, che, nonostante tutto, non sarebbero stati colti morti ubriachi nel proverbiale vicolo. Ma per lui la pallida somiglianza fosse sufficiente: bere era virile, letterario e facile.
Una delle ultime voci del libro è una lettera del 1992 a John Martin, l’editore di Bukowski alla Black Sparrow Press: «Sobrio stasera. Penso di scrivere bene da sobrio come da ubriaco. Mi ci è voluto un bel po’ di tempo per scoprirlo».
Se solo Bukowski e tutti quelli che facevano il tifo per lui per bersi un’altra birra si fossero davvero resi conto prima di cosa aveva concluso prima di morire.
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a proposito di bere…
tante cose strane mi sono successe mentre ero
ubriaco come svegliarmi in un letto estraneo con una
donna che non conoscevo o in una cella in galera o
ferito o derubato
o qualsiasi strana conseguenza dopo l’assunzione di alcol
o durante l’assunzione di alcol come
una notte quando stavo per svoltare a
sinistra in direzione contraria al traffico in quello che credevo
il vialetto di un negozio di liquori
solo che non c’era nessun vialetto dove pensavo
ci fosse
e in meno di un secondo
ho sterzato tutto a destra per non colpire il marciapiede
e mi sono ritrovato a guidare in pieno traffico
in un viale principale congestionato e
come in un folle sogno
la prima auto che mi è passata di fianco
(in direzione opposta)
era quella della polizia
e chissà perché ho
salutato l’agente
poi ho prontamente svoltato a sinistra all’angolo
successivo e ho
zigzagato attraverso una serie di
strade per
depistare il suo inseguimento
e alla fine mi sono imbattuto
in un altro negozio di liquori
ho preso il mio Jim Beam
e me la sono svignata per stradine secondarie
fino a casa dove ho aperto la
porta
sono inciampato sulla passatoia vicino
al tavolino
e ci sono collassato sopra
piano di vetro e
tutto quanto.
mi sono svegliato la mattina dopo steso
sul tavolino
i miei 104 chili avevano fracassato tutte
e quattro le gambe del tavolino sottostante
ma quando mi sono alzato
il vetro sottile del ripiano era ancora lì
intatto…
mi sono scolato il Jim Beam la sera stessa per
celebrare la mia fortuna che
come per chiunque di noi deriva più
dall’allenamento che dall’intervento
divino.
stasera
così tante cellule del mio cervello sono state corrose
dall’alcol
me ne sto qui seduto a bere adesso
tutti i miei compagni di sbronze morti,
mi gratto la pancia e sogno
l’albatros.
adesso bevo da solo.
bevo per conto mio e per me stesso.
bevo alla mia vita e alla mia morte.
la mia sete non si è ancora placata.
accendo un’altra sigaretta, giro la
bottiglia lentamente,
l’ammiro.
una bella compagna.
anni così.
cos’altro avrei potuto fare
e farlo così bene?
ho bevuto più del primo
centinaio di uomini che incroci
per strada
o che vedi nei manicomi.
mi gratto la pancia e sogno
l’albatros.
sono entrato nel gruppo dei grandi ubriaconi
dei secoli.
sono stato prescelto.
adesso mi fermo, alzo la bottiglia, trangugio una
grossa sorsata.
impossibile per me non pensare che
alcuni hanno smesso sul serio e
sono diventati sobri
cittadini.
mi rattrista.
sono aridi, noiosi, al sicuro.
mi gratto la pancia e sogno
l’albatros.
questa stanza è piena di me e io sono
pieno.
bevo questo alla salute di tutti quanti.
e alla mia.
è mezzanotte passata adesso e un cane
solitario latra nella
notte.
e io sono giovane quanto il fuoco che ancora
brucia
adesso.