Giovani poeti: Alessia Lombardi | L’Altrove
La poesia è l’unica verità che conosco.
Si presenta così Alessia Lombardi, giovanissima autrice nata a Pontecorvo nel 1996.
Alessia vive San Giovanni Incarico, è Laureata in Filologia della letteratura italiana e in Storia della musica presso l’Università di Cassino e del Lazio Meridionale, è critico, adattatore dialoghista, attrice e cantautrice.
Ha partecipato a diversi concorsi e premi letterari, vincendone alcuni e riscuotendo successo e approvazioni, suoi testi sono apparsi su riviste e siti letterari. Dal 2019 collabora con il bimestrale “La Lucerna” e il mensile on-line “Vita Ciociara”.
Abbiamo avuto modo di conoscere meglio la giovane poeta facendole alcune domande:
Grazie Alessia. Cosa ti ha spinto a scrivere in versi?
Scrivo dal duemilatré – e cioè da quasi vent’anni – ma il mio è stato perlopiù un lunghissimo apprendistato, maturato circa quattro anni fa. Sono cresciuta nella biblioteca dei nonni paterni, a San Giovanni Incarico – un piccolo paesino ciociaro: già prima di imparare a leggere sapevo cosa fosse l’attenzione, la cura, l’amore per i libri. A scrivere mi ha spinta un bisogno, un’esigenza viscerale di vedermi nel mondo come nei miei desideri. Una paura, forse, di non vivere abbastanza. Come una febbre. Di cui ne restai ammalata, per sempre.
La poesia è l’unica verità che conosco. L’unica immagine vera che riesco a trovare, dentro di me, e a consegnare agli altri, senza nascondimenti.
Ti sei mai ispirata a qualcuno? Se è sì, a chi?
Leopardi è stato e resta il mio principale riferimento poetico. Montale, Rebora, Luzi, Benedetti, la poesia femminile italiana (Pozzi, Rosselli), attualmente, hanno una profonda influenza sulla mia scrittura. Per quanto riguarda la poesia straniera, amo i Sonetti di Shakespeare, la voce dei russi (Majakovskij, Cvetaeva, Achmatova), la Dickinson, la Plath, ma anche Rimbaud, Baudelaire, Verlaine.
“Essere poeta è una condizione più che una professione”, diceva Robert Graves. Cosa diresti tu dell’essere poeta?
Essere poeti è un destino. Che si può o meno “assecondare”. Perché la scrittura – e la poesia in particolar modo – è un atto vitale, necessario, continuo.
Una poesia che avresti voluto scrivere tu?
L’infinito, il più bel canto di prigioniero che sia mai stato scritto: avrei voluto scriverlo io.
Di seguito tre poesie tratte da un libro ancora inedito che vedrà presto la pubblicazione:
L’arcano minore
Il primo gesto fu quello della mano, nell’erba alta
abbandonata sulla torre. Francesco
viveva con i cani, di notte
e nella terra. Senza un bisogno,
senza paura mi portava – di ritorno
da Sperlonga – dove la morte
a picco sui paesi si lascia guardare
e strinse
più forte la mano dentro il lampo. Vivi
[de panza e de core.
La natura è lenta, mi disse;
ma non si ferma mai.
Qualcosa alla radio si spense, e lo lasciai.
Lasciai che la mano gli tornasse
al sonno
degli animali.
Il Ciclo delle Ore I – Le ore blu
Non seppi mai perché fossi, per lui,
un animale
Quando si accendono le ombre,
e le voci, come le voci e le stelle azzurre
del Brasile, o i rioni senza nome;
e non si sentono cicale, i grilli
i morti
che consumano la cena con loro,
l’estate.
E le piante di fico toccavano terra, come reti
di Cetara:
le rimasero soltanto gli occhi, e il profilo
acuto del naso.
Era sempre contento di poco…
Era sempre contento di poco, dell’aria fresca
del condizionatore, per esempio; se poteva
pranzare quasi nudo nella penombra
estiva.
E per questo mi piaceva: era semplice –
sentivo quasi il privilegio di essere
insignificante – e perfetto, come la leggerezza
scolpita degli anelli.
Dormiva, con me a casa sua, abbarbicato
ai suoi cuscini, sempre solo. Pensava
lungamente con gli occhi, che quel poco
non lo avrebbe più avuto:
da un giorno all’altro sarei cresciuta,
e lui invecchiato.