Estratti ed Inediti

Estratto da “Due tempi” di Nunzio Bellassai | L’Altrove

Bellassai si muove osservando, registrando dal suo punto di vista, le innumerevoli e sparse tracce di realtà sinistra nella “siccità del mondo”, cosparso di “nudi cinerari”. È testimone delle distanze tra generazioni, si addentra in circostanze gravi e negative della realtà anche storica contemporanea, accenna a Černobyl e a Kabul, presenta, con discrezione e misura estrema, ambienti e umane figure appena accennate o adombrate. […] Sul piano della ricerca espressiva tende a effetti di sobria medietà, praticando una forma di compassata lirica meditativa che dunque non ricerca strappi o vistose infrazioni, ma che predilige le cadenze e l’incedere di una piana voce che non tende mai a impennarsi, né a scendere troppo prosasticamente verso il basso. Cerca anche di riattivare, sempre nei termini del suo stile controllato, la forma classica del sonetto. Il suo è un percorso autonomo, nel quale è ben difficile cogliere predilezioni letterarie o ascendenze evidenti, pur se a tratti si può avvertire, più per naturale sintonia che per decisa scelta, qualche passaggio che può semmai far pensare al grande esempio di Mario Luzi. In ogni caso questi Due tempi sono da considerare il felice esordio, che è già più di una promessa, di un ragazzo poeta da seguire con attenzione e fiducia, da incoraggiare.

Dalla prefazione di Maurizio Cucchi.

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Non era redenzione quel lampo di luce
goffo emerso in superficie, quello scorcio
intriso del freddo cutaneo dei mattoni
scheggia frantumata in mille
diffidenti pezzetti di vita.
Il mistero della roccia persiste.
Dove la linea di frattura si inarca
il passo più estenuante,
l’urto che liofilizza l’eterna
replica dell’attimo è erosione,
discrasia che nega il riconoscimento
della forma, l’anfratto spigoloso
del mondo. L’agonia della lastra
che diventerà lapide,
scheggia che sarà materia


Vorrei ricordare tutti i momenti
che non abbiamo vissuto insieme
i litigi risparmiati le carezze trattenute
scompensi di una carestia minimizzata
Vorrei ricordare le parole che non
ti ho dedicato gli anni passati a scrivere
postille di un discorso mai cominciato
per rimpiangerli in silenzio


Veniamo da zone limitrofe
dello stesso apparato genetico,
restiamo a disposizione per poi incontrarci
sugli argini incrociati dei crogioli umani.
L’emersione stentata dei volti digitalizzati
sulla pelle rallenta gli unici margini di suono.
Tu dimentichi
Tu lasci parole di troppo
opere sconosciute dal silenzio che scompone


L’estate che muore non conosce tregua,
ma singole nostalgie ridotte a granelli
di spiagge abbandonate, ombre mobili
dei buoni propositi accumulati finora,
in questo tempo che è già il ricordo
di una targa sfregiata: fine corsa.


Troppo tempo per rinnegare questi silenzi
di pioggia, umidi bisbigli infantili, è sconosciuta
questa stanza bianca. Ancora una voce sommessa
tra le ingenue urla di gioco. Si rincorrono.
Scivolare insieme sulla linea puntellata
dietro il bunker. E risalire senza fiato.
Un rumore di fondo sempre uguale: il risolino
acuto di un bambino che non mi somiglia più.

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L’AUTORE

Nunzio Bellassai (Siracusa, 2000), laureato in lettere moderne, attualmente frequenta il corso di laurea magistrale in Filologia moderna. Nel 2019 ha vinto il Premio “Valerio Gentile” per i racconti brevi. Lo stesso anno un suo racconto è stato inserito nella raccolta Le rane (Schena). Suoi componimenti sono stati selezionati per la Bottega di poesia de «La Repubblica». Altre poesie sono state pubblicate nella rubrica «L’Angolo degli inediti» della casa editrice Stampa2009 e nell’Ufficio Poesie Smarrite del «Corriere della Sera». Collabora con «L’indiependente» e «Grado zero», dove si occupa di letteratura, arte e cinema.

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