Nasceva oggi Biagio Marin | L’Altrove
Biagio Marin nacque a Grado (allora territorio austroungarico) il 28 giugno del 1891; dapprima studiò all’università di Vienna, poi a vent’anni si trasferì a Firenze e qui venne a contatto con il gruppo dei triestini attivi allora nell’ambito della “Voce”, i “Vociani” appunto. Dopo aver combattuto volontario contro l’Austria, nel dopoguerra si laureò a Roma in filosofia; fu quindi insegnante, ispettore scolastico, impiegato e bibliotecario. Nel 1943 perse in guerra l’amatissimo figlio Falco; ritiratosi nell’isola natale con la moglie Pina, vi rimase fino alla morte, nel 1985.
La sua attività poetica, quasi esclusivamente in dialetto, si è prolungata per oltre settant’anni, iniziando con Fiuri de tapo (Fiori di barena, 1912). Dopo la prima silloge complessiva (I canti de l’isola, 1951), uscirono, a partire da Sénere colde (Ceneri calde), molte altre raccolte e gruppi di liriche, confluiti prima nell’antologia Il non tempo del mare, (Mondadori, 1964), poi per intero ne I canti de l’isola (1912-1969), a cui seguì il volume El vento de l’Eterno se fa teso, (la Editoriale Libraria-Scheiwiller, 1973).
Nel 2017 la casa editrice Garzanti ha riproposto le sue poesie in un’unica raccolta dal titolo Poesie.
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Dal punto di vista linguistico, Marin ha reinventato un dialetto gradese arcaico infondendovi la sua vasta cultura mitteleuropea e riversandovi ritmi, timbri e melodie personalissimi.
Costante è in lui la ricerca del senso della vita, cui danno corpo specialmente gli oggetti, gli animali, i personaggi dell’amata Grado: conchiglie, gabbiani, rondini, nuvole, bastimenti, le aggraziate figure femminili che animano calli e campielli dell’amata Grado, sono ritratti con poche linee essenziali, nella convinzione che le umili realtà quotidiane rivelino pienamente il soprannaturale.
In un’intervista del 1985 Marin affermava: «L’essenza della poesia consiste nella possibilità di astrarre la quotidianità e convertirla in eternità». Vivere in una piccola isola com’era allora Grado gli permette di cogliere il valore incommensurabile dell’”insularità”, condizione umana e poetica di perfetta consonanza con la natura, la quale rivela (a chi sa osservarla) la forza creatrice dell’universo, l’anima divina che pervade ogni elemento del cosmo, perché «la vita è tutta un volo/verso l’eternità».
Poesie di Biagio Marin
Tanti mai versi
Tanti mai versi
e duto incora tase, oculto;
tant’ani de culto
del dì e incora i zurni xe roversi.
Cu leserà i silinsi,
tra nota e nota
de l’anema che varda imota
drento i so spassi iminsi?
Cu sintirà cantà
le pagine nel bianco
del margine a fianco
de tanto ingrisà?
I gno libri xe tanti
la gno puisia la speta
l’ora più queta,
quela dei larghi siti canti.
Talmente tanti versi / e tutto ancora tace, occulto; / tanti anni di culto / del giorno e ancora i giorni sono a rovescio. / Chi leggerà i silenzi, / tra nota e nota / dell’anima che guarda immobile / dentro i suoi spazi immensi? / Chi sentirà cantare / le pagine nel bianco / del margine a fianco / di tanto ingrigirsi? / I miei libri sono tanti / ma la mia poesia attende / l’ora più quieta, / quella dei larghi canti silenti.
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Quanto più moro
Quanto più moro
presenza
al mondo intermitente
e luse che se spenze, de ponente
tanto più de la vita m’inamoro.
E del so rîe che fa fiurî l’avril
e del miel che l’ha in boca,
la prima neve che za fioca
sia pur lenta e zentil.
Melodioso l’andâ per strà
de l’anca mola nel menèo
che ondesa comò fa ‘l canèo
nel maistral disteso de l’istà.
Musica in ela
e in duta la persona
che duta quanta sona
de quela zoigia che m’insiela.
Quela musica duta la me intona
la fa de me corente d’aqua viva
che in mar se perde senza riva
e solo el perdimento la ragiona.
Quanto più muoio / presenza / nel mondo intermittente / e luce che si spegne, da ponente, / tanto più della vita m’innamoro. / E del suo ridere che fa fiorire l’aprile / e del miele che ha in bocca, / la prima neve che già fiocca / sia pure lenta e gentile. / Melodioso
andare per strada / nell’ondulare dell’anca molle / che ondeggia come fa il canneto / nel maestrale disteso dell’estate. / Musica in lei / e in tutta la persona / che tutta quanta suona / di quella gioia che mi inciela. / Quella musica tutta mi intona, / fa di me corrente d’acqua viva / che si perde in un mare senza riva / e solo il perdimento suo ragiona.
Antifona
Stele filanti semo
picole scagie che se brusa in svol;
se snoda ‘l fil, cussí se disfa ‘l gemo,
cô ‘l zuogo ha fin, piú ninte in cuor ne duol.
Stelle filanti siamo / piccole scaglie che si bruciano in volo; / si snoda il filo, così si disfa il gomitolo, / quando il gioco ha fine, più nulla in cuore ci duole.
Preghiera xe consentimento
Preghiera xe consentimento
al fiurî d’un roser,
dâ-‘i l’ala ad un pensier
al vento fâsse bastimento.
Preghiera xe tremor
davanti a un viso ciaro
e xe l’amor
per un radicio amaro.
El caminâ lisiero
ne l’aria marsulina
e scoltâ, la mantina,
el canto d’un oselo.
Preghiera è consentimento / al fiorire di un rosaio, / dar l’ala ad un pensiero, / al vento farsi bastimento. / Preghiera è tremore / davanti a un viso chiaro / ed è l’amore / per un radicchio amaro. / È il camminar leggero / nell’aria marzolina / ed ascoltare, la mattina, / il canto di un uccello.
Me no sarè più qua
Me no sarè più qua,
nel ninte va i vivinti
e cala duti i vinti,
per senpre, de l’imensità.
Cussì va la persona,
l’àlboro, el nuòlo:
la vita duta un svolo
verso l’eternità.
Io non sarò più qui, / nel niente vanno i viventi / e calano tutti i venti / dell’immensità, per sempre, // Così va la persona, / l’albero, la nuvola: la vita è tutta un volo / verso l’eternità.