Estratto da “Il contrario di abitare” di Fabrizio Sani | L’Altrove
Guccini diceva che “il peccato fu creder speciale una storia normale”. Ma l’amore è per forza idealizzazione, trasformazione dell’idea di una persona in un’idea di assoluto, eterno, immutabile. Poco importa se, agli occhi degli altri, il nostro sentimento sia indifferente. Tutte le storie sono “normali”, per chi non ne è coinvolto. Quello che fanno gli artisti è descrivere i propri sentimenti non in virtù della persona amata, ma come elevazione di se stessi; è meravigliarsi di essere capaci di provare qualcosa che si era letto nei libri; è riconoscere quello specifico paio di occhi che, in questo inferno, non è inferno.
Dalla prefazione di Marco Nardone.
Parietaria
Marica è un temporale.
Di quelli primaverili
che lasciano in giro l’odore di parietaria.
È abbastanza per tagliarmi i respiri.
Educata e graziosa,
dovunque in questa stagione:
veste il mondo intero, camuffata,
banalmente, gialla di sole e rossa di passione.
Ma è verde di incoscienza
e serenità selvaggia.
L’attraverserò senza toccare niente,
ne uscirò a mani vuote.
Potrò solo correre,
fradicio, trascinando via con me
il mio sconfinato amore,
senza raggiungere mai
un tetto o un riparo,
da quest’aria gravida di parietaria innocente.
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Mettiamo un mattino come un altro
Mettiamo un mattino come un altro,
fischiettando tra i marciapiedi della tua città
– fosse fine primavera –
tra gli smilzi fili d’aria
che la mia bocca lascerebbe cadere
abbandonassi anche qualche lacrima,
tu cosa raccoglieresti?
Mettiamo in un mattino come un altro
volessimo incontrarci in un bar per il caffè
– fosse fine primavera –
e io mi fossi un po’ attardato.
Una volta terminato il caffè,
mi chiederesti, con aria immatura,
di restituire quel tempo insieme che ti ho sottratto?
Mettiamo, dicevo, un mattino come un altro,
chiudessi i tuoi occhi e con le mani le tue orecchie su di me
– fosse fine primavera –
evaporassi assieme a tutto il mondo.
Supporresti che la vita procede ancora,
che oltre la tua morte nient’altro morirebbe?
Sapresti, con certezza celeste, di avermi davanti?
Vorrei sapere: un mattino come un altro,
ravvisando la luce sensuale del sole
– fosse fine primavera –
cominceresti a pensare al caldo che si attenua
in un mattino di fine estate
e alla vigna dove potremmo spogliarci e baciarci,
tra l’uva matura?
In conclusione, mi piacerebbe capire
semplicemente se posso chiamarti amore.
Disordine e primavera
Non piangere ancora,
nonostante sia inesplicabile la tristezza
di attendere un’alba priva di desideri,
una mattina di primavera
senza un amore di cui prendersi cura.
Malgrado il rimpianto nella solitudine,
e la confusione che hai generato,
nonostante tu sia il solo colpevole,
come ti sei prontamente dichiarato,
intanto che il sole colava sangue
sulla tua ombra distesa a terra.
Niente è più al suo posto,
non c’è nemmeno rimasto il posto
e la mancanza è la tua emorragia interna.
Malgrado ciò, prendi il godere dal disordine.
Il disordine è il solo modo razionale di vivere.
Domani
C’è oggi,
la mano sugli occhi.
Il bacio sugli occhi e il caffè a letto.
C’è oggi,
la lista della spesa.
I tuoi seni sotto la mia maglietta.
Gli aghi per ricucire e quelli per ferire.
La padella con cui ho cucinato.
Il sapone con cui hai lavato i piatti.
La metropolitana alla stessa ora.
Il lavoro alla stessa ora.
L’abbraccio.
Il bacio.
C’era oggi il telefono che squillava.
La cena desolata.
Lo sforzo nei tuoi occhi.
La porta che si apre, la porta che si chiude.
La porta apre, la porta chiude.
La lite.
Le mani.
Le lacrime di dolore su cui ha galleggiato la mia notte.
C’è domani.
Un treno da prendere.
La stanza che si svuota.
Il cuore che si.
C’è domani.
Saranno ore lunghe e cariche di patemi,
passi lenti tra la gente con una ferita schiusa.
C’è domani e sarà ogni domani.
C’è il peccato di ogni ieri
da espiare domani.
Il silenzio gonfio di domande.
Dov’è che hai scordato il tuo amore?
Dov’è finito questo grande amore.
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Con le mani
Se lo sapessi e fosse no
e intrecciassi fili su fili
per fare il tempo con le mani,
e intanto iniziassi a raccontarti di una donna,
era il 2013 e tra queste mani rabbrividiva,
era bene che ruscellava nel dolore,
un oceano di dolore di un padre
che era padre nel pudore e un figlio
senza voce evaporato tra i romanzi della libreria,
nei vestiti stesi al vento, dentro al sibilo di nuovo motore;
qualche altra fine che non conosco
e una che le ho negato.
Se lo sapessi e fosse no
e intrecciassi fili su fili
per fare il tempo con le mani,
inizierei a raccontare il viaggio da me a me
che Valentina percorse per accompagnarmi
a incontrare chi sono ora,
e qualche fine che conosco
ma non la fine di una storia d’amore.
Se quel che diresti lo sapessi e fosse no,
intreccerei fili colorati su fili colorati
per fare il bene con le mani.
L’AUTORE
Fabrizio Sani è nato in provincia di Arezzo nel 1994 e vive a Roma, dove si sta laureando in Editoria e scrittura alla Sapienza. La sua prima raccolta si intitola Si innamoravano tutti di me e io del loro amore (SuiGeneris, Torino 2018). È consulente per un’agenzia letteraria. Recentemente ha vinto il Premio Ossi di Seppia e il Premio internazionale Alda Merini. Suoi testi sono stati inclusi nell’antologia InVerse 2020 (John Cabot University).