Riscoprire i poeti

Le poesie più belle di Elio Pagliarani | L’Altrove

Se facessimo un conto delle cose
che non tornano, come quella lampada
fulminata nell’atrio alla stazione
e il commiato allo scuro, avremmo allora
già perso, e il secolo altra luce esplode
che può farsi per noi definitiva.

Ma se ha forza incisiva sulla nostra
corteccia questa pioggia nel parco
da scavare una memoria – compresente
il piano d’assedio cittadino in tutto il quadrilatero –
e curiosi dei pappagalli un imbarazzo
ci rende, per un attimo, dicendoti dei fili di tabacco
che hai sul labbro, e perfino una scoperta
abbiamo riserbata: anche a te piace
camminare? (e te non stanca? che porti
tacchi alti, polsi, giunture fragili
che il mio braccio trova a fianco,
il tuo fianco, le mani provate sopra i tasti
milanese signorina)

se ci pare che quadri tutto questo
con l’anagrafe e il mestiere, non il minimo buonsenso

un taxi se piove/ separé da Motta
Ginepro e Patria / poltrone alla prima

ci rimane, o dignità, se abbiamo solo in testa
svariate idee d’amore e d’ingiustizia.

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Ti dicevo al telefono (di cui
più mi prendono le pause, gl’imbarazzi
docili, e se ci udiamo respirare)
ti dicevo al telefono un amore
che urge, e perché.


Il verso «quanto di morte noi circonda»
apriva, e nella chiusa, isolato, bene in vista
«tu sola della morte antagonista».

Ma già prima del termine di giugno
la mia palinodia divenne sorte:
nessun antagonista alla mia morte.

E sono vivo, senza rimedio
sono ancora vivo.


Sono momenti belli: c’è silenzio
e il ritmo d’un polmone, se guardi dai cristalli
quella gente che marcia al suo lavoro
diritta interessata necessaria
che ha tanto fiato caldo nella bocca
quando dice buongiorno

è questa che decide
e son dei loro
non c’è altro da dire.

E questo cielo contemporaneo
in alto, tira su la schiena, in alto ma non tanto
questo cielo colore di lamiera

sulla piazza a Sesto a Cinisello alla Bovisa
sopra tutti i tranvieri ai capolinea

non prolunga all’infinito
i fianchi le guglie i grattacieli i capannoni Pirelli
coperti di lamiera?

È nostro questo cielo d’acciaio che non finge
Eden e non concede smarrimenti,
è nostro ed è morale il cielo
che non promette scampo dalla terra,
proprio perché sulla terra non c’è
scampo da noi nella vita.


Se domani ti arrivano dei fiori
sbagli se pensi a me (io sbaglio se
penso che il tuo pensiero a me si possa
volgere, come il volto tuo serrato
con mani troppo docili a carpire
quando sulle tue labbra m’era dato
baci dalla città) non so che fiori
siano: te li ha mandati per amore
d’amore uno incontrato in trattoria
dove le mie parole spesso s’urtano
con la gente di faccia.

Che figura

t’ho data, quali fiori può accordare
nella scelta all’immagine riflessa
di te?

Non devi amarmi se ti sbriciolo
su una tovaglia lisa: e non mi ami.

Da Tutte le poesie, Il Saggiatore

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