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Addio a Biancamaria Frabotta | L’Altrove

È venuta a mancare il 2 maggio Biancamaria Frabotta.

Poetessa, scrittrice, critica letteraria, saggista, Biancamaria Frabotta è stata una delle voci italiane più importanti del Novecento e figura di spicco dei movimenti femministi.
Nata Roma nel 1946, si laureò in Lettere alla Sapienza, nel 1976 esordì con Affeminata, plaquette accompagnata da una nota di Antonio Porta, il quale introdusse anche il suo secondo libro, Il rumore bianco del 1982.

Del 1976 è il suo primo lavoro più interessante, Donne in poesia, antologia che raccolse i primi lavori di Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque e che diede spazio anche ai versi di alcune poete italiane come Margherita Guidacci, Maria Luisa Spaziani e Amelia Rosselli. Quest’ultima fu oggetto di scritti critici da parte della Frabotta, la quale scrisse saggi e recensioni anche sulla poesia di Caproni, Fortini, Scajola e altri.
Fu attiva in politica, prese parte a diversi movimenti femministi e militò nel Partito di Unità Proletaria.

Quella di Biancamaria Frabotta è una poesia dialogica, fatta di scambi continui, elegiaca, per così dire, non muta ed ermetica, solitaria e spenta.
Sono testi attenti al mondo, alle sue continue trasformazioni, innovazioni di linguaggi. Non mancano poesie legate alla sua vita affettiva e familiare come possiamo vedere in Appunti di volo e altre poesie o in La pianta del pane o o altre che hanno per tema la natura, come quelle che fanno parte di Da mani mortali.

Oggi vogliamo ricordarla con una selezione di sue poesie

Poesie di Biancamaria Frabotta

La mela m’insegni è doppiare la metà di sé.
La vita mi insegni è gli spicchi della mela
la meta dell’incresciosa circostanza
lo specchio che doppia il capo della buona speranza
la testa sdoppiata da una nebbia passeggiatrice
due metà in una,la mela intera, una copula di cattivo gusto.

Erosione dell’utopia o rigore della pazienza ?
Rispondere è sostituire il bianco al nero.
Prova tu che ami il disordine
delle tinte, le onde morte dell’etere
léccane il nero di grassa dolce colla
e sulla lingua spergiura ti resterà neo nata
l’altra metà della domanda, l’inesprimibile bianco
(non la domanda ma la risposta è il nostro nobile privilegio)
essere leggibile per tutti e per me indecifrabile.

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Sono come le pulci, i poeti
acquattati nel pelo del mondo.
Invisibili, se ne stanno passivi
nelle ore dolci dei vivi
ma in un tale loro modo
e così a caso dispersi
fra i tanti, singoli vanti.
Oh, se mordono, nei loro nidi
e hanno, a volte, certi visi
sotto gli occhi di tutti…
E bisogna cercarli, perché
smettano infine il fastidio
uno a uno e prima o poi
di certo, scovarli, stanarli
dai loro nascondigli
i pochi (troppo pochi!) poeti.


Scrivo per non fumare ma se non fumo non scrivo
scrivo per non aspettare il sanguinoso squillo del telefono
ma se non telefoni non scrivo
scrivo per non scappare dalla abbondanza della tua vena
ma se non scappo non scrivo
scrivo per non tornare sulla cattiva strada
ma se non torno non scrivo
scrivo per non darvela vinta moschettieri del vento e del falso
se più non vivo e scrivo ahimè
vinta voi sempre l’avrete su di me.


Miopia

Mi presti i tuoi occhi per guardarti?
A chi negheresti una lente nitida sul mondo?
Sui denti scoperti l’urto dell’acqua lustrale
il rimbalzo fra i rami di un volubile raggio
sotto la gronda una rissa di colombe native.
Chiunque vorrebbe i tuoi occhi per guardarsi.

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Foto di Dino Ignani.

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